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Paolo Piccirillo
Zoo col semaforo

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Illustrazioni di Marilena Pasini

Zoo col semaforo


Provincia di Caserta, giorni nostri. La vita di Carmine e quella di Salvatore si sfiorano in un fatale, drammatico destino. Carmine, ’o Schiattamuort’, gestisce quattro campi da calcetto e non ha più niente da chiedere alla vita perché è vedovo e consuma il suo tempo nel dolore per la perdita del figlio adolescente. Il suo rituale della memoria consiste nel leggere e rileggere un dattiloscritto e nel tener pulito un tratto della tangenziale Aversa-Napoli dalle carcasse degli animali che ogni giorno vi trovano la morte. Lì c’è una lapide in memoria di suo figlio, morto azzannato da un pit bull. Ed è sempre un pit bull a dare origine ai guai di Salvatore, che in verità si chiama Slator perché è albanese e in Italia vive da clandestino. Un giorno, accidentalmente, il suo mansueto pit bull attacca il figlio del macellaio del paese, la cui vendetta seguirà i complessi codici del territorio.
Degli animali, dell’istinto, dell’amore, dell’ineluttabilità del rito parla Piccirillo nel suo bestiario non addomesticato.

 

Biografia del libro
Di Piccirillo colpisce la semplicità, lo sguardo limpido e feroce. È nel concorso letterario 8x8 che si è rivelato, con il racconto L’anatra pneumatica, ora parte integrante di questo romanzo. Piccirillo è metodico, spietato con la sua scrittura, che considera come una sceneggiatura in divenire: “Le prime idee le ho buttate giù con uno specchio davanti agli occhi, col sole che sbatteva sul portatile. Poi la storia è partita, ho cambiato casa e lo specchio è rimasto lì, nella casa di prima, in periferia, senza più nessuno che lo guardasse. La casa nuova è in centro ed è più buia di quella di prima. Perciò possiamo dire che il romanzo è stato concepito nella luce ma è cresciuto nella penombra, e credo che questo si veda nelle pagine”. “Scriverlo è stato strano da tutti i punti di vista: i miei personaggi mi hanno preso in giro dall’inizio alla fine. Ognuno se ne andava per i cazzi suoi come se non fossimo sulla stessa barca. Non potevo distrarmi un attimo. Ma per fortuna questa rotta ubriaca s’è dimostrata quella giusta”.
L’immaginario delle storie di Piccirillo attinge dalla realtà, dalle piccole cose apparentemente senza importanza: “La scorsa estate ero in Grecia, sulla strada di Parga, e ho visto un uomo che pregava davanti a una lapide sul ciglio della strada. Faceva caldo e l’uomo sudava e si guardava attorno innervosito dalle macchine e dalla musica alta dei turisti. Aveva tutta l’aria di chi non vedeva l’ora di tornarsene a casa, eppure rimaneva lì imperterrito a pregare. Allora mi sono chiesto di chi fosse quella lapide”. Ma è proprio dietro i gesti, i riti, le consuetudini, dentro l’appartenenza, che Piccirillo cerca le sue storie: “Anche se non fossi casertano, un aspetto della mia terra mi interesserebbe molto: il fatto che prima era magnifica e oggi è inguardabile. Mai nessun terremoto l’ha distrutta, nessuno tsunami o tornado, neanche le guerre mondiali l’hanno sfiorata. Eppure in alcuni posti sembra sia successo addirittura qualcosa di peggiore, senza che la Natura c’entri nulla. Questa è una cosa che dovrebbe far male, ai casertani, a tutti”.

 

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Selezione stampa
“Una voce forte, per un esordio molto promettente.”
Giulio Passerini, blogsicilia.it, 26 gennaio 2011

“[…] una scrittura antica, amara, asciutta […] e una struttura nuova, eccentrica, frammentaria, reticolare, che forse solo uno scrittore nato dopo il 1975 avrebbe potuto ideare.”
Nicola Lagioia, slowbookfarm.wordpress.com, 10 settembre 2010

Zoo col semaforo è un bestiario contemporaneo allucinato e inquietante: una Napoli da Amores perros, con pitbull che azzannano bambini e bambini che tornano su lapidi di pitbull.”
P.D.P., l’Unità, 11 agosto 2010

- “[…] un falso romanzo costruito con veri […] genuini, originali, commoventi […] racconti solo apparentemente di storie senza importanza.”
Luigi Mascheroni, il Giornale, 18 luglio 2010

- “Lo stile è sobrio e tagliente, ma non asettico e freddo come in molti testi di questi anni. Piccirillo sorveglia con rare sbavature una scrittura che parte sempre dall’interno per posarsi sugli oggetti narrati con la forza di un osservatore tenace. Un esordio davvero promettente.”
Michele Barbolini, Pulp, giugno 2010

- “[…] in una Caserta delittuosa e popolata di fantasmi clandestini, l’atto di ripulire le strade dalle carcasse dei cani come in una perpetua ossessione cela la necessità di far luce su una terra di nessuno abbandonata non solo dalle istituzioni, ma anche da chi ne condivide l’agonia quotidiana.”
Sergio Pent, Ttl, 27 marzo 2010

- “Nasce come Bestiario Zoo col semaforo [...] nella tradizione che dal Medioevo ai Buzzati, Cortázar, sino al Boffa di Sei una bestia, Viskovitz fa degli animai i protagonisti del vivere umano.”
- “...una scrittura sensibile, insieme dura e intima.”

- “Favola neorealista dei tempi di Gomorra.”
Dario Pappalardo, il venerdì di Repubblica, 13 marzo 2010

- “[…] un romanzo originale e sorprendente, che nulla ha dell’esordio, e ancora meno denuncia la giovane età del suo autore. […] Zoo col semaforo riesce a raccontare al di là di ogni retorica e con una prosa asciutta, quasi scarnificata, ma del tutto convincente e naturale, la realtà di una provincia abbandonata dalle istituzioni, e in balia di passioni violente.”
Seia Montanelli, Stilos, marzo 2010

- “Zoo col semaforo è un romanzo di formazione atipico; la presa di coscienza più dell’umana miseria che dell’umana ricchezza non è pessimismo ma lucida cronaca da accettare e della quale non divenire schiavi.”
Flavio Camilli, fuorilemura.com, 22 febbraio 2010

- “Originale, dolente, intenso. Paolo Piccirillo, giovane esordiente d’innegabile talento, ha scritto un romanzo che racconta un pezzo di umanità che vive e si muove in uno scenario sconsolato, ai margini della provincia di Caserta. […] Non è lo sguardo sociale e verista la lente di Piccirillo; il suo filtro passa attraverso gli occhi degli animali […].”
repubblica.it, 17 febbraio 2010

- “La scrittura di Piccirillo è molto concentrata. Minimalista nel senso di un paziente lavoro ‘a togliere’, ha una sua qualità essenziale capace di dare densità e spessore alla frase, di munirla, in tanta nettezza, di una risonanza più forte. E poi […] c’è la ‘struttura’ […]: tempi sfalsati, un procedere ellittico scomponibile in una catena continua di eventi enigmatici i quali, andando avanti, trovano puntualmente una verifica e una spiegazione.”
Francesco Durante, Corriere del Mezzogiorno, 14 febbraio 2010

- “Romanzo elegante, leggero conte philosophique, che pare ruotare intorno al tema della vendetta per l’aggressione incauta di un pitbull e che in realtà si rivela una scusa magnifica per mettere in scena lo strano bestiario di solitudini e rancori che popola l’amenità tipica di una mai docile provincia italiana. Esordio intrigante, felicemente non addomesticato.”
Errico Buonanno, il Riformista, 13 febbraio 2010

- “Un esordio che promette.”
Pietro Negri, GQ, febbraio 2010

- “Non esagera la quarta di copertina di questa bella edizione […] quando dice che la sensibilità di questo autore giovanissimo (classe 1987) ricorda Rodari. C’è anche qualcosa di Orwell, qualcosa del fantastico che vuole descrivere l’uomo partendo dalla natura, in questo romanzo problematico e mai ammiccante, come sempre più raramente accade.”
Valeria Parrella, Grazia, 2 febbraio 2010

- “[…] attraverso la cartina di tornasole del mondo animale (pit-bull, anatre, volpi) Piccirillo fa risultare il bestiario della nuova condizione di questi tempi diacronici: nulla è più al suo posto, né il diritto che ognuno si fa da solo, né i ritmi delle stagioni e delle coltivazioni. […] Cosa fare, allora? Appiattirsi come le sogliole, nascondendosi, passando tutta la vita a non esistere? Oppure tentare di togliersi il gravame della vita […]?”
Vincenzo Aiello, Il Mattino, 28 gennaio 2010

 

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