Alberto Castelvecchi Cacciatori di scrittori Panorama, primo giugno 2006, anno XLIV, n. 22 (leggi il pdf) Roberto (detto Bobi) Bazlen, che chiamavano «l’editore senza casa editrice», era cosi: nato nel 1902 a Trieste, il suo carisma era tale da fare breccia perfino su Italo Calvino, che lavorava alla Einaudi come editor di narrativa e teneva testa a scrittori come Pavese, Vittorini, Sciascia, Borges. Bazlen gli consigliò di tradurre un libro ostico ma rivelatorio, che lui aveva gia letto in tedesco, L’uomo senza qualità di Robert Musil. E un giorno scrisse a Eugenio Montale una mitica cartolina da Trieste, dicendogli di «fare una poesia» su «una con due gambe bellissime», Dora Markus. Montale, senza batter ciglio, eseguì. Tra le conoscenze di Bobi c’erano un ebreo fuggiasco che aveva impiantato a Milano l’Agenzia letteraria italiana (che oggi gestisce migliaia di autori) e un ambiente che ruotava intorno alla Adelphi di Luciano Foa e a Vanni Scheiwiller, che aveva una minuscola ma influentissima attività editoriale, le edizioni all’Insegna del Pesce d’oro. Bazlen presentò a Foa un giovane ventunenne e promettentissimo, un certo Roberto Calasso, che dalla leggenda editoriale Adelphi non si sarebbe staccato più, per tutta la vita. Ma fu Mario Spagnol, già prima di diventare il timoniere del gruppo editoriale che oggi porta il suo nome (e che raggruppa Longanesi, Corbaccio, Guanda, Salani, Ponte alle Grazie, Tea, Nord, Garzanti e Vallardi), a modernizzare l’editoria italiana definitivamente. Il metodo Spagnol? Eccolo: i libri si fanno per la forza e la leggibilità degli autori e per il pubblico, non per soddisfare i salotti letterari. E oggi chi sono gli scopritori di talenti? La risposta non è difficile, perché a fare chiacchiere sono in molti, ma a saper scegliere sono in pochi, pochissimi. Marco Vigevani è stato direttore della saggistica e della narrativa in Mondadori, e quelli che sono passati da Segrete conoscono il rapporto quasi viscerale che si instaura fra lui e i suoi autori. Così, quando si è messo in proprio, ha creato un’officina che segue e consiglia l’autore in ogni dettaglio. Gli agenti sono ormai dei tecnici del contratto senz’anima
e burocratizzati? «No, all’estero semmai sono in crescita
personaggi con un passato di casa editrice, come me, che decidono di diventare
agenti, ma con un bagaglio di sensibilità e di relazioni con gli
autori». Chi non ci crede dovrebbe vedere il modo in cui Marco discute
con i suoi protetti (una sessantina, da Elisabetta Rasy a Elena Stancanelli,
da Giorgio Bocca a Massimo Piattelli Palmarini) su cosa e come scrivere,
e dovrebbe vedere come diventa scuro in volto quando non gli danno retta. Anche nell’ultima generazione, poco più che trentenne, le molle del mestiere sono ancora fondamentalmente due, l’intuito e la capacità di rapporto personale con gli autori: «Io pubblico solo autori che sento profondamente, quelli con cui posso fare un pezzo di strada insieme. Magari stimo uno scrittore, ma se non ne sento l’anima e il senso profondo lascio perdere»: dice così Simone Caltabellota, 36 anni, per anni editor della Fazi. E le soddisfazioni non gli sono mancate: dai libri di John Fante a I reni di Mick Jagger di Rocco Fortunato, e ancora Lorenzo Licalzi e il premio Grinzane con Filippo Tuena. Un esempio di successo non pubblicato? «Beh sì, e direi macroscopico: Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia, che in seguito ha preso Feltrinelli, perché era un libro che non sentivo. Magari, se lo avessi pubblicato io, non sarebbe andato così bene». Poi Simone ha aperto il marchio Lain: a parte il mega-seller Melissa P., decine di migliaia di copie con Girls di Nick Kelman, e con lo scandaloso The Surrender di Tony Bentley. Ha un rapporto viscerale con il mestiere anche l’altro ragazzo prodigio dello scouting, Mattia Carratello, dominatore delle fiere del libro internazionali da Francoforte a Londra: uno dei pochi italiani che persino Andrew Wylie, il più potente agente editoriale del mondo, chiama da New York se ha qualcosa di nuovo. Mattia, 38 anni, da giovanissimo ha diretto la Fanucci con la collana Avant Pop, poi ha seguito la narrativa straniera di Einaudi Stile libero, e adesso, con decine di successi editoriali all’attivo, ha compiuto il gran passo: «Apro a Roma una sezione di Neri Pozza, che si chiamerà Bloom: non sarà esattamente una sigla di letteratura contemporanea. Piuttosto una esplorazione di letteratura presente». E promette bene anche l’ultimo arrivato, ancor
più giovane ma strutturatissimo: Leonardo Luccone, collaborazioni
con Fazi, Minimum Fax, E/o, Nutrimenti e, dopo il bellissimo Libro
di Caino di Alexander Trocchi, traduce John Cheever per Fandango.
Luccone ha aperto uno studio-agenzia con un gruppo di collaboratori, che
si chiama Oblique: «Il limite delle agenzie tradizionali è
che spesso invece di portare idee nuove inseguono le idee dell’editore.
Noi vogliamo lavorare con pochi editori, dalla scelta del titolo all’assegnazione
della traduzione». I maestri del mestiere? «Non c’è
dubbio: Leo Longanesi, Bobi Bazlen, Mario Spagnol, Neri Pozza».
Come dire: il buon giorno si vede dal mattino. |