L’obliquità per altri
Ciò che bisognerebbe criticare nell’obliquo, oggi, è senza dubbio la figura geometrica, il compromesso ancora passato con la primitività del piano, della linea, dell’angolo, della diagonale e dunque dell’angolo retto fra la verticale e l’orizzontale. L’obliquo resta la scelta di una strategia ancora rozza, obbligata a far fronte alle necessità più urgenti, un calcolo geometrico per sviare più rapidamente e l’approccio frontale e la linea diritta: il più corto sentiero presunto da un punto all’altro. Persino sotto la sua forma retorica e in questa figura della figura che si chiama oratio obliqua, questo spostamento sembra ancora troppo diretto, lineare economico, insomma, in connivenza con l’arco diagonale […]. Dimentichiamo dunque l’obliquo.
Jacques Derrida, Il segreto del nome, Jaca Book 1997, p. 107
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