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Brian Eno

Pioniere dell’ambient-music e del glam-rock, videoartista, filosofo della musica, scultore, cantante, polistrumentista, maitre-à-penser della cultura pop, padrino della “no wave”, della dance elettronica e della new age, produttore, talent-scout. Tutto questo è Brian Eno, autentico guru della scena musicale degli ultimi tre decenni.
Nato a Woodbridge, Gran Bretagna, il 15 maggio 1948, Brian Peter George St John le Baptiste de la Salle Eno (questo il suo vero nome) cresce nel Suffolk, vicino a una base militare Usa, affascinato dai suoni “marziani” del doo-wop e dal rock & roll primitivo trasmesso dalle stazioni radio delle Forze Armate americane. Negli anni ’60, lasciato il convento cattolico dove ha ricevuto l’istruzione media, studia arti visive a Ipswich e musica sperimentale a Winchester. Apprende le tecniche della musica concreta, aleatoria, gestuale, minimale ed elettronica (inventa persino una macchina sonora ad acqua piovana e incide un brano per percussione di lampada metallica). Un patrimonio di esperienze raccolte nel libro manifesto Music For Non-musicians, nel quale Eno teorizza la figura del “non-musicista!, incompetente dal punto di vista tecnico, ma ricco di genio creativo. L’opera d’arte, a suo giudizio, deve essere composta in tre fasi: concepimento del brano, esecuzione da parte di singoli strumentisti (questi sì competenti) e manipolazione finale dei nastri da parte dell'autore. A lui interessa soprattutto la terza fase.
I suoi riferimenti musicali sono principalmente nella musica contemporanea (John Tilbury e Cornelius Cardew in particolare) e minimale (John Cage, La Monte Young, Terry Riley), ma il suo è un concetto di musica che trascende il semplice fatto musicale, una teoria multimediale ante-litteram, si potrebbe dire. Dopo una breve esperienza nella Cardew’s Scratch Orchestra, Eno forma un gruppo di musica dìavanguardia, i Merchant Taylor’s Simultaneous Cabinet, e uno di rock, i Maxwell Demon. Nel 1969 è impegnato a Londra come grafico e tecnico del suono. Ed è qui che, due anni dopo, nasce il suo sodalizio con i Roxy Music.
Eno si unisce alla band come “supervisore elettronico”, diventandone in breve tempo il tastierista e “l’architetto sonoro”, secondo la sua stessa definizione. Con i Roxy Music di Bryan Ferry e Phil Manzanera, concepisce due rivoluzionari album di art-glam-rock, Roxy Music del 1972 e For Your Pleasure del 1973, dando vita a un sound tra i più innovativi del decennio ’70.
Il suo apporto consiste nell’innestare una serie di effetti elettronici bizzarri e stranianti sulle jam lussureggianti della band, affidate al registro da crooner di Bryan Ferry. Ma presto all’interno delle band sorgono contrasti e invidie che portano alla scissione: i Roxy Music proseguiranno sul sentiero di un pop altrettanto raffinato ma meno avanguardistico, Brian Eno abbandonerà il gruppo per la carriera solista.
I suoi primi progetti extra-Roxy Music sono particolarmente ambiziosi: incide No Pussyfooting con Robert Fripp (King Crimson) i cui arabeschi di chitarra vengono stravolti da speciali congegni elettronici (“frippertronics”) all’avanguardia nel trattamento del suono con loop, effetti e campionamenti. Nello stesso periodo, Eno si dedica alla produzione di due album sperimentali della Portsmouth Sinfonia (un’orchestra di “quasi-musicisti”).
Ma è il 1974 l’anno della svolta. Arrivano, infatti, i primi lavori da solista: Here Come The Warm Jets (1974) e, soprattutto, quel Taking Tiger Mountain (By Strategy) (1974) forte dell’apporto di Robert Wyatt alle percussioni e di Phil Manzanera alle chitarre. Sempre con ironia distaccata da dandy, Eno combina le nuove tecniche di studio e il cerebrale dadaismo di Wyatt, coniando un autentico “trattato musicale” post-moderno, che imporrà uno standard per il suono degli anni ’70. Il disco sfoggia pezzi surreali come il valzer marziale di Back In Judy’s Jungle e il coro da pub della title-track, ma anche gli esperimenti di Fat Lady Of Limbourg, Great Pretender e China My China, ovvero un saggio di come la tradizione orientale (nenie giapponesi, bacchette cinesi, gong eccetera) si possa sposare alla strumentazione rock. Altra caratteristica dell’opera sono le filastrocche nevrotiche, come Mother Whale Eyeless e Burning Airlines, dal refrain ossessivo e interpretate con un canto distaccato da androide. La “strategia obliqua” di Eno punta a introdurre nella musica d’avanguardia elementi pop e retrò, giocando in modo spericolato su suoni e astrazioni.
Dopo un tour con la band inglese The Winkies e un memorabile concerto con Kevin Ayers, più John Cale e Nico dei Velvet Underground (registrati poi su June 1), Eno si deve fermare per qualche mese, prima a causa di gravi problemi polmonari, poi per un incidente automobilistico. Nel 1975, il ritorno con Another Green World, altra super-produzione con la chitarra di Robert Fripp, la batteria di Phil Collins e la viola di John Cale. Attraverso audaci commistioni tra generi (musica d’avanguardia e pop, psichedelia e colonne sonore), Eno trascende i confini del rock creando una serie di paesaggi sonori nei quali si colgono già le prime avvisaglie della cosiddetta “ambient music, uno dei generi di cui si può considerare il fondatore. Sempre nello stesso anno, il “non musicista inaugura una propria etichetta d’avanguardia, la Obscure Records, per la quale incide Discreet Music all’interno di un’opera di dieci volumi dedicati alla musica sperimentale (tra gli artisti ispiratori: Michael Nyman, John Cage, Harold Budd). Eno pubblica anche due libri Music For Non Musicians e Oblique Strategy, in cui espone le sue teorie “non-musicali”.
A chiudere il trittico è l’eccellente Before And After Science (1977), concepito in Germania, dove Eno si è trasferito con Fripp e David Bowie e collabora con i Cluster.
Le dieci tracce sono altrettanti fotogrammi di cinquant’anni di musica rock, ma a Eno non è solo un freddo scienziato alle prese con l’analisi microscopica della tradizione, è anche un eccellente compositore. È nell’asservimento di questo talento al rigore formale della teoria che risiede la magia del disco. Se aggiungiamo poi che per la sua realizzazione Eno si circondò di musicisti del calibro di Phil Collins, Phil Manzanera, dell’immancabile Robert Fripp, e dei due “Cluster” Moebius e Roedelius, è facile immaginare il risultato.
Le sincopi ethno-funk dell'iniziale No One Receiving anticiparono di qualche anno tutto quello straordinario movimento post-punk, meglio identificato anche come “white-funk”, che imperversò nei club più alternativi di Inghilterra e Stati Uniti, e che portò una ventata d’aria nuova al ballabile moderno. Le contaminazioni elettroniche che distinguevano il funk “bianco” da quello “nero” derivavano tutte dall'opera di Eno, che in seguito riprenderà con più convinzione il concetto, prima collaborando a Remain In Light dei Talking Heads e poi duettando con David Byrne nello splendido My Life In The Bush Of Ghosts. Ma qui c’è già tutto. Tutta l’irresistibile carica delle percussioni e della batteria di Collins, tutto il pulsare cavernoso del basso fretless, il ronzare impertinente del synth e quel cantilenare inconfondibile da sempre marchio di fabbrica del Brian Eno “canzonettaro”. Su questo genere Kurt’s Rejoinder si spinge ancor più avanti, esibendosi in un tribalismobalbettante, trascinandoci negli inquietanti paesaggi notturni dell’Africa. Praticamente è un’anticipazione di ciò che saranno di lì a poco i Talking Heads.
Con Backwater si cambia completamente tiro. Si entra in territori più propriamente rock-pop. Una canzonetta irresistibile e trascinante, testimonianza della capacità dell’artista inglese di sfornare ritornelli appiccicosi. Altra sorpresa: Energy Fools The Magician è un intermezzo di due minuti, uno strumentale dove a far da padrona è la straordinaria batteria di Collins, che scandisce il tempo di un orologio prossimo all’esplosione, che trattiene la sua forza proprio al momento di detonare. King’s Lead Hat è la sua versione del rock “duro e puro”, straniato da stacchetti di piano dissonante, battiti di mani nevrotici, giri di elettronica ipnotica, chitarre incendiarie. Un’altra canzone irresistibile, un altro ritornello da cantare come scatenati, un altro numero da artigiano-intellettuale del rock.
Here He Comes è un brano di una trasparenza strabiliante, di una classe enorme, che potrebbe suonare per un’ora di continuo senza mai stancare. Julie With… è un saggio di ambient-pop, un brano che fa parte delle miniature nebbiose e soffici, nonché deliziosissime, di cui Eno è capace. Un altro suo marchio di fabbrica inconfondibile sono le famose “vignette”, così eteree da essere quasi meno intrusive del silenzio. Di questa categoria fa parte anche il bellissimo strumentale Through Hollow Lands, dedicato a Harold Budd. Il brano più famoso del disco è però quella By This River voluta fortemente da Nanni Moretti nel suo film La stanza del figlio. La solita atmosfera rarefatta, con Eno che canta in un tono dimesso e rassegnato, mentre il piano e le tastiere si accarezzano ricamando un tessuto preziosissimo. By This River è la pace dei sensi, uno sbadiglio d’anima, il raccoglimento, la calma. E anche un capolavoro. A terminare l’album, la cui seconda parte è molto più rilassata della prima, è Spider And I, un commosso augurio dissolto in nebulose cosmiche, quasi ad annunciare la nascita di una nuova era. Già, l’era del “dopo la scienza.
A Berlino, Eno collabora a un’altra grande trilogia, quella del “dandy elettronico” David Bowie: Low, Heroes (con Fripp alla chitarra) e Lodger segnano il momento più sperimentale dell’opera del Duca Bianco, coniando un suono molto influente sulla successiva stagione new wave europea. Ma Eno imprime il suo segno anche sulla musica dei Talking Heads (More Songs About Buildings And Food, Fear Of Music e Remain In Light) e sulla neonata scena no wave newyorkese, pubblicando No New York, una fondamentale raccolta in cui compaiono gruppi come DNA, The Contorsions e altri. Sempre di questi anni sono le collaborazioni con Ultravox e Devo in ambito rock, e con Harold Budd e Jon Hassell nel campo dell’avanguardia.
La carriera solista del “non musicista” più famoso del rock si concentra, invece, sullo sviluppo della ambient music, attraverso due suggestivi album come Music For Films (1978) e Music For Airports (1979). Il primo è un collage di 18 miniature strumentali, fatto di atmosfere estatiche e oniriche, vortici spaziali, delicate trame sonore. Una sublimazione, in chiave minimalista e romantica, della “musique concrete”, che passa anche attraverso sonate d'intensità romantica (Slow Water) e religiosa (Sparrowfall, Events In Dense Fog, Final Sunset).
Music For Airports, invece, rientra in un progetto di “musica per ambienti” studiato da Eno con Harold Budd e Jon Hassell. L’obiettivo è creare una musica di sottofondo studiata per le ampie hall degli aeroporti, ma anche per le sale d’attesa, per i padiglioni delle mostre e delle gallerie d'arte. La musica come arredamento. Gli ambienti come gigantesche scatole da riempire di suoni. La fine del concetto tradizionale di ascolto e la nascita di un nuovo genere di colonna sonora, studiata per accompagnare spazi, non immagini. Più che un disco, Music For Airports è un trattato di musicologia, una sintesi definitiva di quella stagione di ricerche sonore avviata da Erik Satie nel 1888 con il brano Gymnopedias e proseguita negli anni ’60 e ’70 da pionieri come Terry Riley, Steve Reich e John Cage, oltre che dallo stesso Eno. Music For Airports è il coronamento di quei progetti: è solo con la sua pubblicazione, infatti, che viene ufficialmente coniata l’espressione “ambient-music”.
Nelle sue alchimie da scienziato autodidatta, Eno procede in realtà per sottrazioni. Nel 1968 aveva già teorizzato la “Musica per non musicisti”, patrimonio non più di compositori ed esecutori, ma di “geniali incompetenti”, manipolatori di nastri, synth, equalizzatori e altri marchingegni elettronici. Poi, con le sue strategie oblique, aveva deciso di svuotare la musica stessa della sua polpa, riducendola a un puzzle indistinto di suoni e toni, riciclati in studio con complesse operazioni di ingegneria genetica. Così scarnificata, mutilata delle sue tradizionali strutture armoniche, la musica diviene nient’altro che parte di un ambiente – che sia la sala d'attesa di una stazione o il padiglione di un aeroporto – ne assorbe l’atmosfera e i rumori, tramutandosi in un sottofondo che non richiede più un ascolto accurato (ecco l’ultima “sottrazione”). È musica che spesso non supera le 100 battute al minuto e a volte risulta totalmente priva di parti ritmiche. Musica che nel rapporto simbiotico con lo spazio trova la sua principale ragion d'essere.
L’ambiente prescelto è dunque l’aeroporto, crocevia internazionale, punto d’arrivo e di partenza, luogo di incontri e di separazioni, di attese e di tensioni. L’obiettivo di Eno è infondere nei suoi frequentatori un senso di calma e di speranza, stemperandone progressivamente lo stress. L’esperimento venne realmente effettuato per un periodo nel terminal dell’aeroporto LaGuardia di New York, pochi mesi dopo l’uscita del disco.
Sorta di sinfonia “metaclassica” suddivisa in quattro movimenti, minimalista fin nei (quasi inesistenti) titoli delle tracce, Music For Airports rivoluziona il concetto di creazione musicale, ma anche quello di fruizione della stessa. Il rapporto spazio-acustica si risolve in un’alternanza di silenzi, frasi di piano e synth, corali e voci femminili, il tutto debitamente scomposto e ricomposto alla consolle. Il suono si sprigiona lentamente, è astratto, pittorico, mentale. Eppure non si limita a fare da “tappezzeria” al luogo, ma contribuisce a definirne la percezione, fin quasi a confondersi con esso. Tutto è soffuso, incorporeo, rarefatto. Ribaltando il tradizionale invito rivolto agli ascoltatori sulle copertine dei dischi, verrebbe da dire “to be played at minimum volume”.
Nell’ouverture, un meraviglioso adagio al rallentatore di sedici minuti, è Robert Wyatt a creare un’atmosfera di estasi elettronica, reiterando all'infinito eteree frasi di piano, contrappuntate dagli altri strumenti in fuga libera e rielaborate da una sapiente regia al mixer. Il secondo brano è costruito su echi e sovrapposizioni di un coro femminile a cappella che infonde un senso di vuoto e di vertigine. Il terzo è una piece pastorale che combina il coro con un pianoforte, fungendo idealmente da sintesi fra i due movimenti precedenti. Il quarto, un solo di synth dai toni più cupi, pare quasi studiato per lasciare un senso di intrigante incompiutezza. Music For Airports, infatti, potrebbe proseguire all’infinito, e continuerebbe sempre a riservare qualche impercettibile sorpresa. Dietro le sue lente fluttuazioni, la sua calma ossessiva, i suoi pattern ipnotici, si cela una suspense maligna, l’attesa per un colpo di scena che pare non arrivare mai, ma che a ogni nuovo ascolto potrebbe sopraggiungere. Ma forse è proprio questo, il suo colpo di scena.
Il progetto continua, tra vortici sonori ed echi cosmici, con Films, On Land, che accentua la componente thriller dei suoi acquerelli ambientali, dando spazio a sonorità più tetre e minacciose. Il lato più cosmico della sua musica sarà invece protagonista di Apollo: Atmospheres & Soundtracks del 1983. Ma Eno vuole cimentarsi anche con l’arte visiva. E così nascono i video-affreschi di Fifth Avenue e Mistaken Memories, che celebrano in chiave artistica la nascita del nuovo mezzo multimediale della videocassetta.
Negli anni ’80, il non musicista di Woodbridge diventa una sorta di guru universale del rock, creando una scuderia di talenti e producendo un’infinità di dischi. Il tutto in perfetta autonomia, senza mai dipendere dalle strategie commerciali delle case discografiche, ma solo dal proprio studio di registrazione privato. Dal 1980 inizia a collaborare con il fratello Roger e, soprattutto, con il tecnico del suono canadese Daniel Lanois. In questo periodo, Eno è attento anche a diverse altre realtà collaborando con artisti del Ghana (Edikanfo), sovietici (Zvuki Mu), italiani (Teresa De Sio) e interessandosi alla musica etnica.
Il grande ritorno al rock è sancito dalla produzione di The Unforgettable Fire (1984) e The Joshua Tree (1987) degli U2. Grazie allo straordinario successo di questi due album, Eno diventa uno dei produttori più richiesti al mondo, anche se preferisce lasciare questi compiti a Lanois e dedicarsi ad altri progetti tra i quali la fondazione di un’agenzia artistica (Opal) cui fanno riferimento musicisti (il fratello Roger, Lanois, Michael Brook, John Paul Jones) e artisti visuali (registi, fotografi, pittori). Nei primi anni ’90, Eno cura ambiziosi progetti discografici quali Nerve Net (1992), The Shutov Assembly (1992) e le colonne sonore dei film Blue (1993) e Glitterbug (1994), entrambi di Dereck Jarman. Organizza anche installazioni visive, opere multimediali (con Laurie Anderson) e perfino una serie di campionamenti audio per il software dei personal computer.
Ma le sue collaborazioni nel rock lasciano il segno sul decennio: tra gli altri, lavora con Arto Lindsay, Peter Gabriel (Us, del 1992), per le colonne sonore di Until The End Of The World di Wim Wenders e del serial TV X-Files, negli album Achtung Baby (1991) e Zooropa (1993) degli U2, nel progetto Passengers (Original Soundtracks I del 1995) e in Outside (1995), l'album del rilancio di David Bowie. “Quel disco”, racconta, “è cominciato da una sequenza di improvvisazioni che ho recentemente riascoltato e che mi ha impressionato: David improvvisa testi costruiti su armonie complesse, cambia i personaggi modificando la sua voce. È all’avanguardia su tutto il mondo, in materia di immaginazione e di espressività. Il seguito spero si faccia presto”.
Di recente, Eno ha pubblicato l’album, Drawn For Life, scritto, suonato e prodotto con J. Peter Schwalm, dj e musicista di Francoforte, e arricchito dalla voce di Laurie Anderson: undici brani in bilico tra jazz, musica da camera e trip hop. “Provo sempre a fare la musica che mi piacerebbe sentire”, racconta Eno. “Il processo nasce da una serie di ascolti durante i quali penso: ‘Mi piacerebbe che fosse un po’ come questo, un po’ come quello’. Così trascorro tutto il tempo disegnando nella mia testa il tipo di musica che vorrei comporre. In questo periodo non ho ascoltato molto jazz o musica colta europea ma riconosco che mi hanno suggerito un territorio fertile. L’altra strada era ripiegare verso quei sentimenti che avevo scoperto sulla musica come tipo di paesaggio sonoro. Ho provato a portare tutto questo verso un tipo di composizione che fosse ritmica e melodica perché per molto tempo ho composto brani senza ritmi ovvii o esili tracce melodiche”.
Ma Eno ha prodotto anche Space, l'ultimo disco dei James che lui definisce “il migliore da quando il gruppo è insieme”. Ha aderito al progetto di David Toop, Sonic Boom: the art of sound, una esibizione all’Howard Gallery di Londra, descritta come “la più vasta esibizione di un gruppo d’arte e suoni mai tenuta in Gran Bretagna”, con interventi di Russell Mills e di Lee Ranaldo dei Sonic Youth per sonorità post-rave, post-ambient e post-techno. E tra le “strategie oblique” dell'artista inglese c’è anche Aiming for Zero Landmines-The First Prayer of the 21st Century, colonna sonora di un programma tv giapponese curato da Ryuichi Sakamoto che si propone di abolire le mine. Eno figura, con Kraftwerk e David Sylvian, tra gli autori delle musiche.
Se la musica resta la sua attività principale, l’arte è sempre al centro dei suoi pensieri. Ha realizzato presso il Moma di San Francisco Compact Forest Proposal, parte integrante di una mostra che celebra la tecnologia digitale e l’arte, intitolata 101010. Il progetto di Eno è creare un ambiente musicale senza parole, senza melodia, senza ritmo e che non suoni mai due volte nello stesso modo, attraverso 11 lettori cd che trasmettono musica, rumori, voci lontane, suoni di campane. Infine, il suo grande sogno: ottenere dalle autorità dell'aeroporto di Heathrow (Londra) il permesso di creare una stanza per viaggiatori in cui sia possibile ascoltare “musica attuale per un aeroporto moderno”. Sarebbe la logica chiusura del discorso aperto oltre vent’anni fa con Music For Airports.
Nel 2005, a sorpresa, esce Another Day On Earth. Annunciato come un nuovo disco di canzoni, è tutto fuorché un ritorno di Eno ai suoi quattro album pop. Tanto quelli erano rocamboleschi e imprevedibili, tanto questo è levigato e asettico fino alla monotonia. Un disco di musica ambient in puro Eno-style, solo cantato anziché essere solo strumentale.
Chiarito questo ci si può abbandonare al piacere di un ascolto d’alta classe, privo di scossoni, ma forse non del tutto: perché ascoltando la traccia con cui l'album si apre, This, qualsiasi fan del Brian Eno pop proverà di certo un autentico tuffo al cuore: eccola, una sua tipica filastrocca che ti si appiccica in testa e non va più via. Parole, suoni e melodie tradiscono infatti un Eno malinconico, quasi dimesso, come preoccupato dalla scelta di doversi nuovamente esprimere anche con le parole, oltre che con i suoni. Soprattutto, tornando a cantare dopo tanto tempo, Eno non ritrova più la freschezza vocale che accompagnava i dischi degli anni ’70. Si aiuta così con il vocoder nella delicatissima, struggente And Then So Clear, probabilmente il brano più bello della raccolta.
Il resto del disco purtroppo non è all'altezza di queste due gemme poste in apertura: perché si riallaccia fin troppo alle ultime, non esaltanti, prove ambient del maestro. Caught Between trova quantomeno un’atmosfera nuovamente di estrema suggestione e presa emotiva, ma è un episodio piuttosto isolato nel torpore generale. Le sorti dell’album migliorano nel finale grazie alle tenebrose Bonebomb e Just Another Day e soprattutto alla splendida Under. Alla fine, è un disco che si lascia ascoltare, ma nel complesso non decolla e non coinvolge mai davvero.

Claudio Fabbretto, tratto da Ondarock

Discografia

(1972) Roxy Music (da Roxy Music)
(1973) For Your Pleasure (da Roxy Music)
(1973) No Pussyfooting (con Robert Fripp)
(1973) Portsmouth Sinfonia Plays the Popular Classics (con la Portsmouth Sinfonia)
(1973) Here Come The Warm Jets
(1974) Taking Tiger Mountain (By Strategy)
(1975) Evening Star (con Robert Fripp)
(1975) Another Green World
(1975) Discreet Music
(1977) Cluster & Eno (con Cluster)
(1978) Before and After Science
(1978) Ambient #1 / Music for Airports
(1978) Music for Films
(1978) After the Heat (con Roedelius e Dieter Moebius aka Cluster)
(1980) Ambient #2 / The Plateaux of Mirror (con Harold Budd)
(1980) Fourth World, Vol. 1: Possible Musics (con Jon Hassell)
(1980) Ambient #3 / Day of Radiance (da Laraaji con Eno producing)
(1981) My Life in the Bush of Ghosts (con David Byrne)
(1982) Ambient #4 / On Land
(1983) Apollo: Atmospheres and Soundtracks
(1984) The Pearl (con Harold Budd)
(1985) Thursday Afternoon (canzoni per una galleria di arte video)
(1985) Hybrid (con Daniel Lanois e Michael Brook)
(1989) Textures
(1990) The Shutov Assembly (All Saints Records)
(1990) Wrong Way Up (con John Cale) (All Saints Records)
(1992) Nerve Net (All Saints Records)
(1993) Neroli (All Saints Records)
(1995) Spinner (con Jah Wobble) (All Saints Records)
(1995) Original Soundtracks No. 1 (con U2)
(1997) The Drop (All Saints Records)
(2001) Drawn From Life (con Peter Schwalm)
(2002) Lightness
(2002) I Dormienti
(2002) Kite Stories
(2003) Music for Civic Recovery Centre
(2003) Compact Forest Proposal
(2003) January 07003 | Bell Studies for The Clock of The Long Now
(2004) Curiosities Volume 1
(2004) Curiosities Volume 2
(2004) The Equatorial Stars (con Robert Fripp)
(2005) Another Day on Earth
(2005) More Music from Films
(2005) 77 Million

*

Bene, ho sempre pensato che l’arte è una bugia, una bugia interessante. E continuerò ad ascoltare questa “bugia” e a cercare di immaginare un mondo che la rende vera… come sarà quel mondo, e cosa deve accadere perché passiamo da questo a quello.

Devo dire che gli ammiratori possono rivelarsi una forza conservatrice e immobilizzante. Certo è meraviglioso essere acclamato per le cose che fai – a dire il vero è la vera ricompensa, perché ti fa pensare “ci sono riuscito! non sono isolato!” o qualcosa del genere, e ti lega in modo positivo alla cultura di cui fai parte. Ma d’altro canto, ti senti spinto a ripeterti, per fare ancora quelle cose che ci piacevano tanto. Io non ce la faccio – non mi diverto a portare avanti progetti che mi sembrano familiari ( - e questa non è tanto una questione di nobiltà artistica o di ideali: semplicemente mi annoio troppo), ma allo stesso tempo mi sento in colpa per aver “tradito il mio pubblico” e non aver fatto le cose che secondo me avrebbero voluto. Forse è meglio evitare questo senso di colpa, così evito di trovarmi in situazioni che potrebbero causarlo. Il problema è che la gente preferisce quasi sempre quello che facevo qualche anno prima – è sempre così. L’altro problema è che, spesso, la penso così anch'io! Le novità vengono fuori in modo sporadico e sfumato, e i risultati non sono immediatamente confrontabili con i lavori passati, brillanti e acclamati. Devi continuare tenere presente che anche loro hanno avuto un travaglio iniziale, anche se poi hanno avuto un successo da mozzare il fiato. E c’è un altro problmea quando pensi al tuo passato - ti dimentichi che ha avuto una genesi e incominci a sentire una specie di inutile reverenza per il tuo io precedente: “Ma come ci sono riuscito? Da dove uscivano queste idee?”. Il presente, quello quotidiano e concreto, sembra relativamente meno glamour di quel roseo passato (a parte le ore magiche quando ti senti in ritmo con il universo, cose che capitano solo quando ti sleghi dalla tua storia personale).

A 18 anni ero già in crisi di mezza età … ho speso tanto tempo a pensare al vero significato dell'essere un artista. Non sono abbastanza intellettualmente disonesto per semplificarmi la vita… Il rischio può giocare un ruolo nel nostro concetto del bello. Se corri un rischio, tiri fuori le antenne. Un giorno noleggerei un violoncello e un altro una marimba. Non sono capace di suonare nessuno dei due. Ho due idee, far pendere un microfono dal soffitto ed assumere un trombone.

Un aspetto importante della progettazione è il grado al quale l’oggetto ti coinvolge nel suo completamento.

Sulla creazione del suono di avvio di Microsoft Windows 95:

L’idea venne fuori in un periodo in cui ero del tutto privo di idee. Avevo lavorato per un certo periodo sulla mia musica ed ero veramente a un punto morto. Fui felice che qualcuno venisse da me a dirmi, “Abbiamo questo problema – risolvilo.” La nota dell’agenzia diceva, “Vogliamo un pezzo ispirato, universale e bla bla e da da da, ottimistico, futuristico, sentimentale, emotivo,” con tutta questa lista di aggettivi e poi alla fine, in fondo leggo “e deve essere lungo 3¼ secondi.” Pensai che era così divertente e curioso che mi venne davvero voglia di mettere insieme questo minuscolo brano. È come fare un piccolo gioiello. In verità ne feci 84. Fui totalmente assorbito da questo mondo di piccoli pezzi musicali. Ero tanto sensibile ai microsecondi alla fine si aprì una diga nel mio lavoro. Quando ebbi finito e tornai a lavorare sui pezzi da circa tre minuti, mi sembrarono oceani di tempo.





 



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