Florine Stettheimer
“Letting people have your paintings
is like letting them wear your clothes.”
Adorati da Marcel Duchamp, i dipinti di Florine Stettheimer (1871-1944) – gioiosi, civettuoli, pieni di fiori e di donne e uomini ben vestiti che oziano, gozzovigliano, meditano, fanno picnic distesi su tovaglie o su cuscini o seduti su poltrone eleganti, si riparano sotto l’ombrellino o sotto alberi dalle chiome immense, si guardano allo specchio, si affacciano a balconi, dipingono, passeggiano, danzano, conversano, in giardini assolati, in sale da ballo o in salotti decorati a festa – sono dei veri e propri palcoscenici, solo in apparenza naïf, sono ritratti di riunioni familiari o di occasioni mondane, dove la compostezza e la baldoria formano un’intima unità.
Pittrice, poetessa e designer, Florine Stettheimer nasce il 29 agosto 1871 a Rochester, New York, in una famiglia ebreo-tedesca molto agiata. È la quarta di cinque figli: Walter, Stella, Carrie, Florine e Ettie. Il padre, Joseph Stettheimer, banchiere, abbandona la famiglia alla nascita di Ettie e così la madre, Rosetta Walter, decide di intraprendere un lungo viaggio in Europa portandosi dietro la prole. Florine frequenta le scuole in Germania ed è qui che, precoce, comincia a dedicarsi all’arte frequentando il Priesersches Institut di Stoccarda – anni dopo, nel 1929, ritrarrà la sua insegnante e direttrice dell’istituto nel quadro Portrait of my teacher, Fräulein Sophie von Prieser.
Il soggiorno europeo, durante il quale la famiglia si nutre di arte, opera, balletti russi, avrà un forte impatto sull’approccio di Florine alla vita e alla pittura, che lei considera come un tableau, come un rigoglioso palcoscenico su cui far convivere fantasia e realtà.
Agli inizi del 1890 gli Stettheimer tornano per un periodo a New York. Stella si sposa e mette su casa in California, dove si trasferisce anche il fratello Walter; Carrie, Florine e Ettie cominciano invece a condurre una vita riparata, riempita di arte e scrittura e di mille attenzione per l’amata madre, e non si sposeranno mai – scelta inusuale per quei tempi ma probabilmente figlia della delusione per il naufragio del matrimonio dei genitori e dell’ammirazione nei confronti della loro zia Josephine (sorella di Rosetta), la prima donna ad aver conseguito un dottorato in Medicina e ad aver insegnato alla Columbia University. Carrie si occupa della gestione della casa, Ettie si laurea al Barnard College e fa un dottorato in Filosofia, mentre Florine continua i suoi studi (pittura e disegno dal vero, con gli insegnanti J. Carroll Beckwith, H. Siddons Mowbray e Kenyon Cox) alla Art Students’ League, la prima scuola d’arte di New York, fondata nel 1879, ad aver aperto anche alle donne i programmi di disegno dal vero.
Dal 1898 la famiglia Stettheimer torna in Europa, in particolare in Francia, Germania, Italia. Florine prende in affitto alcuni atelier dove lavora indefessamente; dopo la sua morte, Ettie ricorderà così la tenacia e la dedizione della sorella:
“After she left school she attended art classes continually for many years, both here and abroad where she also travelled as extensively as possible to see European art. When finally she felt that she had got all she could from being trained and taught and ‘shown’, she had her own studio here in New York where she spent practically all the hours of all her days working. Her evenings a tour family home she spent reading. I think she must have read everything concerning arts published in English, French, German up to that time”.
Nel suo diario Florine butta giù impressioni sulle mostre che vede, sulle meraviglie di Manet, Cézanne, Berthe Morisot, Renoir, Rodin in particolare, e dopo la visita al museo del Prado di Madrid del 1912 scrive:
“I have seen wonders. Such Titians and Velásquez and a Guercino the kind I never knew he painted… I can’t remember when I saw so much that appealed to my sense of beauty. The Tintoretto portraits – and everything, yes everything except the miserable painting called a Leonardo Mona Lisa. They should throw her out or sell her to an American”.
Nel 1900 rientrano a New York e Florine continua a lavorare senza posa: è talmente immersa nello studio e nella pittura che considera tutto il resto, compresi i pranzi e le cene, una perdita di tempo.
“Meals are ridiculous institutions – we are such slaves to them. We were not hungry and twenty minutes more on the Appian way would have given us enjoyment but we had to go to dinner.”
Negli anni che precedono il suo ritorno a New York nel 1914, Florine si distacca dallo stile accademico e comincia a sperimentare il neoimpressionismo. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si trova in Svizzera con la madre e le sorelle. Tornano a New York e si trasferiscono in un lussuoso appartamento di Manhattan, nel palazzo Alwyn Court sulla West 58th Street, vicino a Carnegie Hall, che diventa ben presto il centro della vita artistica e intellettuale della città, un salone in cui si riuniscono artisti, critici e scrittori newyorkesi e europei espatriati come Marcel Duchamp, Francis Picabia, Charles Demuth, Man Ray, Henry McBride, Carl Van Vechten, Georgia O’Keeffe, Marguerite Zorach. Le sorelle Stettheimer – soprannominate le «Stetties» – organizzano una serie di feste sofisticate nell’appartamento newyorkese e in alcune ville prese in affitto sulle spiagge del New Jersey o in campagna, e vengono ricordate come “an exotic if somewhat strange trio: Ettie in red wig, brocades, and diamonds; Carrie, who dressed never in the fashions of the day but in the elegance of a past era; Florine in white satin pants” (Bruce Kellner, Carl Van Vechten and the Irreverent Decades, Norman, Oklahoma, 1968) e “they were so funny, and so far out of what American life was like then” (Marcel Duchamp).
Ma Florine non è mondana nel senso letterale del termine, piuttosto è un’osservatrice attenta e riservata, ama dipingere queste feste solo per il proprio piacere, e per quello della sua famiglia, non per il dio denaro o per la notorietà, e non si pavoneggia e si rifiuta di esporre le sue tele perché la pittura è per lei un fatto privato – l’unica mostra è del 1916 alla galleria Knoedler & Company di Manhattan; in vita non ha venduto un solo lavoro. È di questo periodo la nascita del suo nuovo stile, vivido e decorativo, dove brillano il giallo, il rosso, il rosa e l’arancione, ricco di eccessi ornamentali e miniaturizzazioni fantasiose, molto moderno e influenzato dal simbolismo, dalle scenografie dei balletti russi, dal fauvismo francese e anche dalle illustrazioni delle riviste del tempo.
“Fantasy and reality all mixed up. She was perfectly consistent with any of her inconsistencies.”
Georgia O’Keeffe
Florine è anche poetessa, ma pure i suoi versi li tiene per sé. Sono poesie intimiste, diafane, lunari, e verranno pubblicate postume da Ettie, nel 1949, nel volume Crystal Flowers:
I was pure white
You made a painted show
Thing of me
You called me the real thing
Your creation
No setting was too good for me
Silver – even gold
I needed gorgeous surroundings
You then sold me to another man.
Scrive libretti per il teatro e disegna i costumi e la scenografia per Four Saints in Three Acts di Virgil Thompson (1934), sul libretto di Gertrude Stein, ricevendo molte lodi soprattutto per l’uso innovativo del cellophane (per la confezione degli abiti e per il fondale) che contribuisce allo “spirit of inspired madness” della produzione – i costumi e la scenografia vengono descritti come “fantastically absurd”. Compone il libretto per Orphée of the Quat-z-arts, il balletto di sua ideazione ispirato al ballo annuale parigino che non verrà mai messo in scena ma verrà pubblicato nell’edizione di Crystal Flowers del 2010, con la prefazione di Irene Gammel e Suzanne Zelazo: “[Its] central character Georgette (a modern-day Euridice) navigates social strata, mergin bohemian carnivalesque with the charms of ‘a blonde Vicomte’”. Aiuta la sorella Carrie nella creazione della Stettheimer dollhouse (lavoro durato la bellezza di venticinque anni), la deliziosa casa delle bambole di due piani con le pareti ornate dai capolavori in miniatura dei loro amici artisti, tra cui Nu descendant un escalier di Marcel Duchamp o i quadri di William e Marguerite Zorach, di Alexander Archipenko, Albert Gleizes, Louis Bouche (“when artist friends visited, they saw it and began to create miniature works for it”).
Le opere più famose di Florine sono i quattro dipinti che celebrano la vita di New York nell’età del jazz: Cathedrals of Broadway (1929), Cathedrals of Fifth Avenue (1931), Cathedrals of Wall Street (1939) e Cathedrals of Art (1942), esposte ora al Metropolitan Museum of Art di New York.
“She put into visible form in her own way, something that they all were, a way of life that is going and cannot happen again, something that has been alive in our city.”
Georgia O’Keeffe
Florine, malata di cancro, muore l’11 maggio 1944 a New York. Il suo ultimo desiderio che tutte le sue opere vengano distrutte cade nel vuoto.
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