Malcolm Skey
“Quello lì sapeva tutto.”
Paolo Repetti
Frederick Malcolm Skey nasce a West Coker nel Somerset (Uk) il 12 ottobre 1944, trascorre la sua infanzia a Bristol per poi studiare Storia a Oxford. Dopo un soggiorno in Francia si trasferisce a Torino; nel 1973 inizia la sua collaborazione con la casa editrice Einaudi, dove entra a far parte della segreteria della Storia del marxismo e dell’Enciclopedia.
“Alto, imponente come un corazziere, il gran cranio cilindrico virgolettato da radi ciuffi di ricci alle orecchie, bocca carnosa, occhiali dalla pesante montatura nera, Malcolm Skey compare in via Biancamano all’inizio degli anni Settanta. […] di famiglia modesta, una o due lauree a Oxford, doveva aver lavorato per l’intelligence inglese, forse non ne era mai uscito del tutto. Aveva i tratti di tanti intellettuali del suo paese, affascinati dall’arte di essere tutti e nessuno, dovunque e in nessun posto, spie per passione intellettuale. All’indomani del disastro di Ustica, quando ancora i giornali brancolavano nell’ipotesi del cedimento strutturale, Malcolm spiegò agli amici che c’era stato un conflitto a fuoco per un Mig libico, un missile aveva abbattuto il Dc9 dell’Itavia.
Da Oxford era passato per qualche tempo in Provenza, a Nîmes, e di lì a Torino, dove faceva conversazione in inglese prima con Norberto Bobbio, poi con l’Editore. Parlava molte lingue. Gli bastavano quindici giorni per impratichirsi dell’ungherese o del polacco al punto da essere in grado di conversare con un taxista, magari simulando l’accento di un sobborgo della capitale. Imparò in breve tempo il piemontese, che declinava nei larghi modi bonari di un Gianduja; bravissimo nell’imitare Mila, da cui spesso dissentiva in materia di musicologia.
Lavorò anche per la Fiat, al tempo dell’ingresso dei libici come azionisti, Pareva anzi in dimestichezza con l’Avvocato in persona, di cui lasciava intravedere biglietti autografi che lo convocavano a corte in toni confidenziali. Nel momento più avventuroso della sua collaborazione s’era aggregato ai carabinieri dei nuclei speciali per inseguire funzionari infedeli che stavano per vendere alla concorrenza segreti di fabbrica. L’inseguimento, parte in elicottero, parte in automobile, s’era prolungato sino a Trieste, dove i reprobi erano stati finalmente catturati.
Di queste peripezie da agente speciale Malcolm era fiero. Difficile capire dove la realtà finiva e cominciavano i piaceri dell’affabulazione.
La singolarità dell’uomo, che sembrava uscito da un romanzo di Forster o di Le Carré, non si fermavano qui. Eccellente linguista, lavorava da anni a un dizionario italiano-inglese. Girava per la città reggendo sottobraccio voluminosi tabulati di bozze, quasi un’appendice cartacea di lui, che tendevano a srotolarsi rovinosamente nei momenti meno opportuni. Le sue conoscenze erano enciclopediche, e toccavano con eguale competenza l’arte, la storia, le scienze, la cucina. Musicologo e melomane, poteva fischiettare dall’inizio alla fine un quartetto di Beethoven. Assiduo ai concerti, parlava di Salvatore Accardo o di Abbado come di cari amici. Si offriva di organizzare serate conviviali con loro.
[…] Un uomo tanto mercuriale non poteva sfuggire alla curiosità dell’Editore. Assunto in segreteria, passò all’Enciclopedia diretta da Ruggiero Romano, con l’incarico di tenere i contatti con le decine di collaboratori dell’impresa, autorevoli studiosi d’ogni paese, cui era affidata la redazione delle singole voci. L’attività era particolarmente gradita a Malcolm, vittima di una dromomania permanente. Conosceva a memoria gli orari di tutte le compagnie aeree e relative tariffe. Per lo stupore dei colleghi, esibiva sulla scrivania insalate di biglietti non utilizzati, che poi non riusciva a giostrare nelle combinazioni per lui più vantaggiose. Si vantava di poter andare da Torino a Francoforte passando per Los Angeles-Tokyo. Al ritorno da viaggi frenetici (New York, Varsavia, Mosca) mi gratificava di affettuose bugie:
“Lévi-Strauss ti saluta! Jakobson ti stima molto!”
Quando non doveva viaggiare per l’Enciclopedia, per meglio concentrarsi nella rifinitura del suo dizionario, la cui uscita veniva rinviata di anno in anno con disperazione del suo editore, prendeva il treno per Roma, scendeva a Pisa e tornava indietro: diceva che in treno lavorava meglio. Tra le sue passioni intellettuali, i racconti di fantasmi. Come loro, si distingueva per l’inafferrabilità, l’arte di comparire e scomparire a sorpresa, lo stile aristocratico, lo humour, perché non c’è ghost storysenza l’umorismo acidulo che rafforza la complicità tra chi narra e chi ascolta. Curava edizioni di classici (Jane Austen, Dickens, Poe, Walpole) per piccoli editori che non lo pagavano, e che lui anzi sovvenzionava sottoscrivendo azioni che erano altrettante donazioni a fondo perduto.”
Ernesto Ferrero, I migliori anni della nostra vita, Feltrinelli, 2005
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Da lessicografo, ha curato un dizionario italiano-inglese per la Sei, antologie di letteratura gotica, l’opera di Jane Austen per Theoria, casa editrice romana di cui fu tra i fondatori nel 1982 e direttore della collana I segni.
È considerato uno dei maggiori esperti italiani di romanzo gotico, cui dedicò l’opera omonima Il romanzo gotico (Theoria, 1984). Alla diffusione di questo genere letterario ha contribuito anche con la traduzione di numerose opere di Poe, Beckford, Mary Shelley, Lovecraft e tanti altri, oltre a curare numerose antologie di raccolte di fantasmi, Fantasmi e no (Bompiani, 1991), Fantasmi di terra, aria, fuoco e acqua (Einaudi, 1996), Sepolto vivo, pubblicato postumo (Einaudi, 1999).
“Era approdato da noi” ricorda Ernesto Ferrero “per fare conversazione con Giulio Einaudi che desiderava migliorare il suo inglese. Einaudi rimase colpito dalla preparazione di Malcolm, del fatto che sapeva parlare benissimo altre cinque lingue. Così, l’assunse come segretario dell’Enciclopedia”.
Claudio Giacchino, La Stampa, 13 settembre 1998
“Quella di Malcolm Skey è una figura mitica dell’editoria italiana. Tutti lo conoscono, ma pochi sanno esattamente chi sia quell’omone alto e grosso, coltissimo e pieno di humour, gioviale. È uno di quei tanti personaggi – ombra dell’editoria, che faticano dietro le quinte (traducendo, curando libri e collane, correggendo, spulciando, discutendo). Skey, con il suo cosmopolitismo (e la conoscenza perfetta delle lingue, piemontese compreso) un po’ bohémien, ha fatto moltissimo.”
Girola Edoardo, Corriere della Sera, 13 settembre 1998
“Di lui Grazia Cherchi dice che è l’unico fantasma che conosce. La sua passione per i libri da leggere al crepuscolo è nata lavorando. […] Skey non ama parlare di fantasmi. Si difende con una battuta non sua (è di Roger Caillois): «I fantasmi? Non ci credo, ma ne ho paura».”
Girola Edoardo, Corriere della Sera, 13 settembre 1998
“Malcolm era un eccentrico e questa sua scelta di rimanere nella nostra città chissà, forse è proprio figlia della sua eccentricità. Che presto lo portò a scomparire, a tornare, a eclissarsi di nuovo per poi farsi rivedere. Un individuo stranissimo, buono. […] Simpatico, spiritoso, era superinformato su tutto quanto avveniva nell’universo dei libri, sul dietro le quinte, conosceva un sacco di gente. […] Tutti lo conoscevamo, stimavamo, gli volevano bene ma raccontare l’uomo è difficile: non perché fosse un orso, no questo no. Conversatore affascinante, lo era ancor più perché non parlava mai di sé, sul suo privato era molto riservato. Aggiungiamoci la sua mancanza di radici, il suo non fermarsi mai a lungo nello stesso posto, nel non aver mai avuto una casa sua. […] Credo sia sempre stato ospite di qualcuno. Malcolm non ha mai nuotato nell’oro, diciamo pure che soldi ne aveva pochi. E quando ne aveva, non si preoccupava affatto di tenerli per sé, non credo che in vita sua abbia mai risparmiato una lira. Viveva alla giornata, […] il classico bohémien, sempre pronto a farti un favore, sempre gentile, che a un party, a una cena, a una ricorrenza non si presentava mai a mani vuote.”
Carlo Fruttero
“Imbandiva pranzi raffinati che si ispiravano alle ricette cinquecentesche dei Gonzaga. Regalava vasetti di preziose marmellate inglesi di agrumi, ma non c’era specialità medio-orientale che gli fosse ignota, ivi comprese certe speziatissime salse irakene. Invitato a cena, lasciava di stucco gli ospiti arrivando in aereo da Parigi con preziosi sorbetti al ribes in confezione da trasporto. Cultore di jogging, all’alba o nel cuore della notte correva in tuta e berretto per i viali cittadini, magari fermandosi a scambiare convenevoli con gli ufficiali dei carabinieri suoi amici a qualche posto di blocco.
Attraversava di buon passo le colline per andare a mangiare in qualche vecchia piola specialità piemontesi come il fritto misto e le pesche all’amaretto. Gli osti, con cui conversava in dialetto, erano pieni di deferenza verso il misterioso “professore”. Di matti per la collina ne giravano tanti.
[…] Era sempre altrove rispetto a dove doveva essere. Atteso a cena, non si presentava. Telefonava dopo tre giorni accampando scuse romanzesche: guasti telefonici, incidenti automobilistici, incendi devastanti, gravi emergenze famigliari. Con il replicarsi delle assenze, le spiegazioni diventavano sempre più catastrofiche. Cominciò a parlare di funerali, di decessi improvvisi. Una moria fulminante e inarrestabile aveva preso di mira i suoi amici, mai a Torino, piuttosto in luoghi mediamente remoti, Brescia, Pisa. Nelle sue laboriose giustificazioni, le Parche presero a colpire preferibilmente bambini e giovani spose, ménage esemplari, felici. Via via che i resoconti si facevano strazianti e i decessi più crudeli, quasi insostenibili, gli ascoltatori non riuscivano a trattenere accessi d’ilarità.
“Stronzi!” sibilava lui.
Ci vollero anni per capire che cosa si nascondeva dietro quelle bugie.”
Ernesto Ferrero, op. cit.
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“Skey era soprattutto un uomo che ha sempre voluto vivere intensamente la sua esistenza. Rischiando anche in prima persona. Così anche quell’ultima notte, quando malfermo sulle gambe si è incamminato nel buio di Porta Palazzo.”
Red., La Stampa, 16 settembre 1998
Malcolm Skey è morto l’11 settembre 1998, in seguito ad emorragia cerebrale, provocata forse da una caduta o in seguito a un’aggressione avvenuta qualche giorno prima. Le circostanze della sua morte sono ancora oggi poco chiare.
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“Ora per le ricerche più complicate c’è internet, negli anni Ottanta c’era Malcolm Skey.”
Susanna Basso
“A furia di frequentare gli amati fantasmi anglo-celtici, di cui era uno dei maggiori studiosi, Malcolm Skey aveva finito per assumerne certe qualità: l’inafferrabilità, l’arte di comparire e scomparire a sorpresa, lo stile sempre molto race, lo humour, perché non c’è vera ghost story senza l’umorismo acidulo che rafforza la complicità tra chi narra e chi ascolta. […] Brillante laureato a Oxford, linguista di strepitoso talento, erudito di leggerezza calviniana, musicologo capace di fischiettare a memoria un intero quartetto di Beethoven, redattore di scrupolo maniacale, viaggiatore frenetico. […] Ma chi poteva dire di conoscere davvero questo tenero gigante gallese che si divertiva a parlare il piemontese bonario delle maschere dialettali? […] Di sicuro coltivava un così alto concetto della professionalità e della scrittura che in fondo, per un eccesso di perfezionismo, ha prodotto meno di quel che ci si poteva attendere da un uomo delle sue straordinarie qualità. […] Negli ultimi tempi raccontava agli amici che stava scrivendo un romanzo satirico sul mondo culturale italiano, che dal nome del protagonista si sarebbe intitolato Calo di Potenza. Preferisco credere che Malcolm ci stia lavorando in segreto da qualche parte, che le notizie tragiche di questi giorni siano soltanto il finale sbagliato di un racconto di fantasmi.”
Ernesto Ferrero, La Stampa, 17 settembre 2011
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