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niccolò gallo
Niccolò Gallo


Il critico letterario più lucido che abbia operato sull’ipotesi di un rapporto reciproco e fecondo fra letteratura, critica e cultura, anche politica.
Michele Rago, “Niccolò Gallo, intellettuale comunista”, l’Unità, 7 settembre 1971

Niccolò Gallo era l’uomo a cui credeva e si rivolgeva tutta la letteratura italiana. La sua presenza, il suo giudizio erano i più ambiti da parte di tutti.
Piero Dallamano, “La morte di Nicolò Gallo”, Paese Sera, 6 settembre 1971

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Niccolò Gallo è stato un uomo stimato, anzi ammirato per la sua discrezione e semplicità. Fine e gentile, mite e garbato, estremamente educato; appartato nel modo di essere, ma con uno sterminato numero di amici accolti nella sua casa di piazza Ungheria.
[…] Lo conobbi nel millenovecentosessanta nel temperato appartamentino romano al pianoterra di un discreto stabile nella festosa piazzetta il cui nome avrò trascritto un migliaio di volte e che insieme al numero del telefono mi balza alla mente come i dati anagrafici. Alto, magrissimo, il viso dai tratti fini intelligente e mobile, il colorito più giallo che scuro dell’uomo per quarant’anni alle prese coi libri bene allineati lungo le pareti dell’atrio e del salottino asimmetrico che dava su una finestra con raro verde, i capelli a spazzola o meglio lasciati corti a intrecciarsi e a infoltirsi sì da formare una massa compatta e dal contorno fermo come avviene nei meridionali, la fronte alta e cresposa non solo per i solchi profondi ma soprattutto per le sacchette di grasso che nella generale asciuttezza ne sollevavano curiosamente l’epidermide e si moltiplicavano intorno agli occhi, quest’ultimi centro di attrazione e vero specchio in lui, miti e di un castano sempre umido, occhi di animale ferito e offeso o minacciato ma rimasto tuttavia fedele e mansueto, il naso regolarissimo sui baffi che spiovevano pieni e curati sulle labbra sempre tese sia per il frequente, quasi meccanico sorriso, sia nella riflessione incerta, tormentata, che ne portava lontano lo sguardo, quei baffi e quel labbro inferiore più nutrito che finivano per rassomigliarlo a Elio Vittorini… sono tratti insufficienti a restituirne la fiacchezza sorniona e la vigile assenza, l’incedere fragile e insicuro eppure difilato in strada come dentro a un’interminabile raffica di bora, il lampo nello sguardo subito mascherato dal sorriso stanco e come arso, la voce inaspettatamente bassa in tanta esilità…

[…] Lo avevo capito finalmente, con lui si poteva comunicare senza riserve né equivoci soltanto attraverso la celia: là si rifugiava tutta la sua carica di affetto e lui stesso vi si ritrovava giovane. Imputava a me l’avanzamento dei fascisti a Trieste, io gli ricordavo i carriarmati a Praga. Ancora sbagliavo; non era quella materia da scherzo, probabilmente ne aveva assai sofferto, infatti cambiava discorso. Meglio contrapporre a Trieste la sua Roma oziosa e truffaldina, chiamarlo col titolo accademico, chiedere lumi sugli attesissimi parti dei suoi grandi favoriti. Lui allora eccolo pronto a parteciparmi le fortune e l’ultima orientamento politico dei miei ex amici. Era anche un modo di dirci finalmente la verità.
Fulvio Tomizza, “L’amico di Roma”, in Dove tornare, Milano 1974

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Non era la mansuetudine quello che più stupiva di lui. Era l’educazione. Da chi avesse ereditato, Gallo, questo tratto così poco italiano è difficile dire. Per educazione, Gallo si sarebbe lasciato uccidere.

La personalità di Gallo era così complessa, il suo carattere così impenetrabile e chiuso. […] Per qualche strana ragione i pensieri di Gallo avevano qualcosa di inviolabile.
Cesare Garboli, “L’ultimo lettore”, Il Mondo, 10 ottobre 1971

Quanto a lui, non si “dava” mai: aborriva come nessuno la morbida confusione tra le anime, gli abbracci tra gli spiriti, la contaminazione dei cuori. Amava senza rivelarsi, soffriva senza condividere, gioiva senza partecipare: restava chiuso e imprendibile dentro lo spazio che aveva creato, dove nessuna scala e nessuna porta potevano condurre, perché forse nemmeno lui ne conosceva gli accessi segreti.
Pietro Citati, “Impenetrabile amico di tutti”, Il Giorno, 22 settembre 1971


Il mistero essenziale della sua persona consisteva nella sua assenza di ingenuità. Un uomo come lui, mite, si pensa che dovesse essere anche ingenuo. Invece parole come ingenuità e candore suonano estranee alla sua persona. Nello sguardo che egli posava sulle cose e sugli uomini non c’era ingenuità. Non c’era nemmeno curiosità. Non c’era nemmeno pessimismo e amarezza. C’era soltanto la luce dell’intelligenza. Ma era uno sguardo così fulmineo che né lui né gli altri si accorgevano quando guardava. Un simile sguardo si rialzava pacato e sereno, sorridente benché privo di ogni illusione.
Natalia Ginzburg, “Niccolò”, La Stampa, 18 settembre 1971

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Formato attraverso anni di sacrifici, di studi, di lotta antifascista, di resistenza, di lavoro quotidiano svolto con umiltà, senza boria e protagonismi da intellettuale, è stato un rigoroso studioso di Dante; un impeccabile curatore, insieme a Garboli, delle opere di De Sanctis e di Leopardi; di Gramsci insieme a Giansiro Ferrata per Il Saggiatore; traduttore di Rivière e di Thibaudet. Più volte definito “critico militante”, ha sempre ritenuto lo studio della letteratura italiana, di cui era al servizio, un punto di vista privilegiato per esplorare le possibilità delle trasformazioni umane.
Dagli anni Sessanta come consulente editoriale e direttore di diverse collane diventa uno dei protagonisti nella formazione di un nuovo panorama letterario italiano. Prima per Nistri-Lischi cura la collana Castelletto e inventa una costellazione di scrittori; poi in Mondadori, con il poeta Vittorio Sereni, continua il progetto sperimentale dirigendo la collana Il tornasole, in cui affiorano i nomi di narratori e poeti – Zanzotto, Spaziani, Chiara, Tomizza, Del Buono, Pagliarani – presentati in seguito al grande pubblico nell’altra collana di cui è sempre curatore, Narratori italiani.
Niccolò Gallo è stato un vero lettore: infaticabile, rigoroso, prodigo di consigli, disponibile a leggere dattiloscritti di giovani sconosciuti e di autori affermati, capace di indagare i rapporti tra un autore e il mondo circostante, capace di penetrare il nucleo più segreto di ogni opera.

[…] Iniziò l’assiduo rapporto epistolare di revisione, che per lui era il normale svolgimento di un lavoro minuto, congeniale e perciò gradito, mentre a me spalancava gradatamente una dimensione di urbanità ed eleganza che parevano rappresentare sia le premesse sia il fine ultimo di un’antica cura del particolare e si mantenevano costanti nella scelta della carta e dell’inchiostro come nella scrittura precisa, finissima, da moderno amanuense di lusso, che tanto umiliava il mio goffo aggettivo da togliere, l’esclamativo da sopprimere, il verbo inesatto da sostituire.
In netta perdita, sulle prime scattavo in difesa della mia espressione raramente mediata almeno in quella prima prova, ma poi ammettevo che l’indicazione era esatta e mi veniva proposta con discrezione persino dubbiosa ed estremo rispetto.
Fulvio Tomizza, “L’amico di Roma”, in Dove tornare, Milano 1974

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Correggeva bozze, faceva ricerche in biblioteca per noi, aggiungeva note, controllava manoscritti: si sobbarcava i compiti più faticosi ed umili, con una gioia, una costanza e una forza che nessuno avrebbe mai sospettato in una persona così delicata. Finalmente, se insistevamo ancora, e se davvero volevamo sapere, egli diceva, chinando le palpebre, lasciando cadere il labbro e quasi sillabando le parole e incespicando, quello che “pensava”. Erano giudizi troppo benigni, che ci mandavano assolti da ogni peccato. […] Perché, allora, andavamo a cercarlo? Per venire lusingati? Non credo […] quelle minime cancellature dovevano consentirci di capire la strada che avremmo dovuto percorrere con le nostre forze.
Pietro Citati, “Impenetrabile amico di tutti”, Il Giorno, 22 settembre 1971

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È una raccolta di articoli e di saggi brevi su momenti della cultura di oggi oltre che di divertissements smaliziati e taglienti sugli aspetti del costume contemporaneo, che rappresentano i diversi interessi e moventi di Eco saggista e moralista. La fisionomia di Eco, quale appare ormai (penso in particolare al suo libro apparso recentemente presso Bompiani), risulta qui – attraverso queste prose, anche le più divaganti – altrettanto mossa e in certo senso arricchita, ivi compresi certi modi lievemente snobistici, che fanno parte del suo bagaglio intellettuale. Eco parte da un pretesto, da un’occasione, di letteratura o di costume e vi architetta su le sue costruzioni logiche con un gusto smaliziato del paradosso, mediante un’operazione dialettica da perfetto virtuoso. È come una molla che scatta. Talvolta nasce il sospetto, quasi il fastidio, della divagazione fine a sé stessa, del divertimento: ma l’impennata estrosa di ordine culturale o morale riporta il discorso sul piano della partecipazione, dell’impegno storicamente preciso. Il Diario minimo va pubblicato senz’altro, nel Tornasole. Si tenga presente che l’autore deve aggiungere all’attuale dattiloscritto due nuovi saggi e che forse una diversa distribuzione dei pezzi renderebbe il libretto più organico, più filato: nella prima parte i saggi veri e propri, nella seconda i divertissements di costume.
Scheda di lettura di Niccolò Gallo: Umberto Eco, Diario minimo , 10 luglio 1962

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Un momento di crisi ha investito il rapporto tra la scrittrice Alba de Céspedes e la Mondadori. Il casus belli è rappresentato dal risvolto di copertina che Niccolò Gallo aveva preparato per la riedizione nel Bosco di Dalla parte di lei (1964).

Pubblicato la prima volta nel 1949, Dalla parte di lei è forse il romanzo che per la drammatica inquietudine e la spavalda varietà della tessitura narrativa esprime, meglio di ogni altro, il fervore e la carica persino polemica, con cui ogni volta, nei suoi romanzi e racconti, la de Céspedes prende partito. Assumendo a tema centrale della sua storia la condizione della donna, lo svolgersi delle sconfitte sentimentali, dei tormenti interiori, dell’amaro rinchiudersi di fronte all’incomprensione e all’abitudine che mortificano ed esasperano il bisogno d’amore di Alessandra, la scrittrice dà vita a un personaggio affannosamente ribelle, che risulta la più appassionata e significativa delle sue creature. Nella vasta tela del romanzo, che si muove fra il passato e il presente, fra la campagna d’Abruzzo e la Roma della piccola borghesia e della bufera del ’43-’44, i toni si alternano col variare delle vicende: ora, negli abbandoni della memoria e della tenerezza, un disegno sfumato e dolce; ora, nello stringersi degli avvenimenti un’incisiva concitazione. Sono i due toni dominanti della de Céspedes, della sua sorprendente natura di romanziera, che riflettono il suo cuore e insieme il suo piglio franco e spregiudicato di donna.
Risvolto preparato da Niccolò Gallo

12 settembre 1962

Caro Gallo,
ho letto il testo da Lei scritto per il risvolto di copertina dell’ultima edizione di Dalla parte di lei. Vi ho trovato un’abbondanza di espressioni che io escludo dal mio vocabolario (per es: “tormento interiore”, “riflettono il suo cuore”, “sfumato e dolce”) e che mi spiacciono tanto più in quanto sono adoperate per definire, criticamente, la mia opera. In compenso, qualcosa manca in quel testo: ed è il consenso alla validità artistica della mia opera, al contenuto etico – non soltanto polemico – di essa, alla forma, cioè allo stile, che tale contenuto riveste ed esprime.
Questo giudizio mi dispiace particolarmente in quanto Lei dirige la collana dove i miei romanzi sono pubblicati e dovrebbe essere il primo ad apprezzarli e difenderli; e, dunque, mi induce a considerare più opportuno troncare una collaborazione nella quale, da parte Sua, non v’è che una velata disistima di ciò che io scrivo. Se dopo aver conosciuto il suo giudizio, io accettassi di pubblicare ancora alla Mondadori sentirei di offendere me stessa e il mio lavoro (mi stupisce che Lei, inviandomi il testo del risvolto, non se ne sia reso conto) e accetterei una umiliante situazione di compromesso cui non sono abituata né in questo né in altri campi. Penso che la mia risoluzione solleverà anche Lei dal dovere di pubblicare un autore che era già incluso nella collana prima che Lei ne assumesse la direzione; che Lei, credo, non avrebbe scelto, avendo un’opinione siffatta; e al quale, in questi anni – nonostante la squisita cortesia formale – non ha mai rivolto, a voce o per iscritto, un apprezzamento circa la sua opera che possa smentire o compensare quello che oggi mi perviene.
La mia risoluzione è definitiva: propormi, eventualmente, di rifare o mutare il testo del risvolto non servirebbe a niente. Non è la presentazione ai lettori che importa: è quello che Lei pensa. In questi anni, rifiutando pubblicità, coktails, pregandoLa di far escludere dai bollettini dell’ufficio stampa qualsiasi espressione laudativa, di non far aumentare le cifre delle vendite, e non avendoLe mai chiesto nulla di quanto riguarda il lato pubblicitario ed esteriore del nostro lavoro, credo di averle provato coi fatti che soltanto il risultato artistico, il giudizio critico, mi interessa. La prego, dunque, di voler chiedere Lei stesso ad Arnoldo Mondadori la rescissione del nostro contratto, che contiene i diritti delle mie opere già pubblicate e l’opzione per quelle future: e, naturalmente, la libertà di pubblicare altrove il mio nuovo romanzo Il rimorso, che nessuno ancora ha letto alla Mondadori e che dopo vari rinvii da me chiesti, e varie sollecitazioni da parte del Presidente, di Sereni e Sue, era inteso che io consegnassi entro questo mese per essere pubblicato a fine gennaio.
In quanto all’edizione già stampata di Dalla parte di lei, credo che nel risvolto di copertina si possano stampare i giudizi di stampa che erano nell’edizione precedente oppure un riassunto della trama che, tuttavia, desidero mi sia sottoposto.
La prego, caro Gallo, di adoperarsi affinché tale libertà mi sia concessa al più presto in modo che io possa trovare un nuovo editore: il mio romanzo sarà pronto alla fine del mese e gli anni impiegati in questo lavoro, il valore che io attribuisco al risultato artistico di esso, nonché le disagiate condizioni economiche in cui verso, abbandonata ogni collaborazione giornalistica per portare a termine il romanzo, non mi consentono di attendere.
La ringrazio del Suo interessamento a questo fine; e nonostante il tono impostomi dall’increscioso contenuto di questa lettera, La prego di credere alla sincera espressione della mia amicizia e della mia stima.
Alba de Céspedes

 

*

Roma, 12 settembre ’62

Caro Vittorio,
ti accludo copia della lettera ricevuta stamani da Alba de Céspedes e, perché tu possa giudicare, anche la copia del testo per il risvolto della ristampa di Dalla parte di lei che le avevo mandato per l’approvazione. Tieni conto che, inviandoglielo, come è mia abitudine in questi casi, le avevo precisato che si trattava di un abbozzo, sul quale avrebbe potuto intervenire a suo piacimento, correggendo, rifacendo ecc. Può darsi – e ora il dubbio che avevo mi viene confermato dalla sua reazione – che il testo sia generico e poco felice, ma non mi pare che sia così limitativo.
L’incidente, come vedrai leggendo la lettera della de Céspedes, è più complicato di un semplice dissenso causato da diversità di vedute. Il mio pezzo, infatti, le ha dato occasione di rimproverarmi la mia indifferenza e il mio disinteresse nei suoi confronti: il che, anche se personalmente non mi tocca (in gran parte, poi, non risponde al vero), diventa grave in quanto la de Céspedes considera la Mondadori implicata nella questione e ne trae motivo per chiedere la rescissione del contratto.
A lei ho risposto poche righe per esprimerle la mia sorpresa e comunicarle che avrei immediatamente trasmesso a Milano le sue richieste. Ma a te sento il bisogno di dire di più: che, messe le cose in questo modo, non intendo assolutamente rappresentare un intralcio fra la Mondadori e la de Céspedes, e ti prego di consentirmi di mandare ad Alberto le mie dimissioni.
Non è un puntiglio, come puoi ben capire – ché altrimenti avrei preso la cosa diversamente –, ma la persuasione di costituire bene o male un ostacolo al corso dell’attività mondadoriana, che mi induce a un passo di cui sento tutta la gravità. Sono molto amareggiato di doverti scrivere in questi termini, ma sono certo che vorrai capirmi.
Credimi col più vivo affetto

Niccolò Gallo presenta le sue dimissioni a Sereni

*

Niccolò Gallo muore di infarto sabato quattro settembre 1971 nella sua casa di Santa Liberata vicino Porto Santo Stefano. Il lunedì sarebbe dovuto partire con Fulvio Tomizza per visitare nuovamente Trieste e l’Istria.

Quattro settembre, muore
oggi un mio caro e con lui cortesia
una volta di più e questa forse per sempre.
Ero con altri un’ultima volta in mare
stupefatto che su tanti spettri chiari non posasse
a pieno cielo una nuvola immensa,
definitiva, ma solo un vago di vapori
si ponesse tra noi, pulviscolo
lasciato indietro dall’estate
(dovunque, si sentiva, in terra e in mare era là
affaticato a raggiungerci, a rompere
lo sbiancante diaframma).
Non servirà cercarti sulle spiagge ulteriori
lungo tutta la costiera spingendoci a quella
detta dei Morti per sapere che non verrai.
Adesso che di te si svuota il mondo e il “tu”
falsovero dei poeti si ricolma di te
adesso so chi mancava nell’alone amaranto
che cosa e chi disertava le acque
di un dieci giorni fa
già in sospetto di settembre. Sospesa ogni ricerca,
i nomi si ritirano dietro le cose
e dicono no dicono no gli oleandri
mossi dal venticello.

E poi rieccoci alla sfera del celeste, ma non è
la solita endiadi di cielo e mare?
Resta dunque con me, qui ti piace,
e ascoltami, come sai.

Vittorio Sereni, Niccolò







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