Brian Eno
Pioniere dell’ambient-music e del glam-rock, videoartista,
filosofo della musica, scultore, cantante, polistrumentista, maitre-à-penser
della cultura pop, padrino della “no wave”, della dance elettronica
e della new age, produttore, talent-scout. Tutto questo è Brian
Eno, autentico guru della scena musicale degli ultimi tre decenni.
Nato a Woodbridge, Gran Bretagna, il 15 maggio 1948, Brian Peter George
St John le Baptiste de la Salle Eno (questo il suo vero nome) cresce
nel Suffolk, vicino a una base militare Usa, affascinato dai suoni “marziani”
del doo-wop e dal rock & roll primitivo trasmesso dalle stazioni radio
delle Forze Armate americane. Negli anni ’60, lasciato il convento
cattolico dove ha ricevuto l’istruzione media, studia arti visive
a Ipswich e musica sperimentale a Winchester. Apprende le tecniche della
musica concreta, aleatoria, gestuale, minimale ed elettronica (inventa
persino una macchina sonora ad acqua piovana e incide un brano per percussione
di lampada metallica). Un patrimonio di esperienze raccolte nel libro
manifesto Music For Non-musicians, nel quale Eno teorizza la
figura del “non-musicista!, incompetente dal punto di vista tecnico,
ma ricco di genio creativo. L’opera d’arte, a suo giudizio,
deve essere composta in tre fasi: concepimento del brano, esecuzione da
parte di singoli strumentisti (questi sì competenti) e manipolazione
finale dei nastri da parte dell'autore. A lui interessa soprattutto la
terza fase.
I suoi riferimenti musicali sono principalmente nella musica contemporanea
(John Tilbury e Cornelius Cardew in particolare) e minimale (John Cage,
La Monte Young, Terry Riley), ma il suo è un concetto di musica
che trascende il semplice fatto musicale, una teoria multimediale ante-litteram,
si potrebbe dire. Dopo una breve esperienza nella Cardew’s Scratch
Orchestra, Eno forma un gruppo di musica dìavanguardia, i Merchant
Taylor’s Simultaneous Cabinet, e uno di rock, i Maxwell Demon. Nel
1969 è impegnato a Londra come grafico e tecnico del suono. Ed
è qui che, due anni dopo, nasce il suo sodalizio con i Roxy Music.
Eno si unisce alla band come “supervisore elettronico”, diventandone
in breve tempo il tastierista e “l’architetto sonoro”,
secondo la sua stessa definizione. Con i Roxy Music di Bryan Ferry e Phil
Manzanera, concepisce due rivoluzionari album di art-glam-rock, Roxy
Music del 1972 e For Your Pleasure del 1973, dando vita
a un sound tra i più innovativi del decennio ’70.
Il suo apporto consiste nell’innestare una serie di effetti elettronici
bizzarri e stranianti sulle jam lussureggianti della band, affidate al
registro da crooner di Bryan Ferry. Ma presto all’interno delle band sorgono
contrasti e invidie che portano alla scissione: i Roxy Music proseguiranno
sul sentiero di un pop altrettanto raffinato ma meno avanguardistico,
Brian Eno abbandonerà il gruppo per la carriera solista.
I suoi primi progetti extra-Roxy Music sono particolarmente ambiziosi:
incide No Pussyfooting con Robert Fripp (King Crimson) i cui
arabeschi di chitarra vengono stravolti da speciali congegni elettronici
(“frippertronics”) all’avanguardia nel trattamento del
suono con loop, effetti e campionamenti. Nello stesso periodo, Eno si
dedica alla produzione di due album sperimentali della Portsmouth Sinfonia
(un’orchestra di “quasi-musicisti”).
Ma è il 1974 l’anno della svolta. Arrivano, infatti, i primi
lavori da solista: Here Come The Warm Jets (1974) e, soprattutto,
quel Taking Tiger Mountain (By Strategy) (1974) forte dell’apporto
di Robert Wyatt alle percussioni e di Phil Manzanera alle chitarre. Sempre
con ironia distaccata da dandy, Eno combina le nuove tecniche di studio
e il cerebrale dadaismo di Wyatt, coniando un autentico “trattato
musicale” post-moderno, che imporrà uno standard per il suono
degli anni ’70. Il disco sfoggia pezzi surreali come il valzer marziale
di Back In Judy’s Jungle e il coro da pub della title-track,
ma anche gli esperimenti di Fat Lady Of Limbourg, Great Pretender e China My China, ovvero un saggio di come la tradizione orientale
(nenie giapponesi, bacchette cinesi, gong eccetera) si possa sposare alla
strumentazione rock. Altra caratteristica dell’opera sono le filastrocche
nevrotiche, come Mother Whale Eyeless e Burning Airlines,
dal refrain ossessivo e interpretate con un canto distaccato da androide.
La “strategia obliqua” di Eno punta a introdurre nella musica
d’avanguardia elementi pop e retrò, giocando in modo spericolato
su suoni e astrazioni.
Dopo un tour con la band inglese The Winkies e un memorabile concerto
con Kevin Ayers, più John Cale e Nico dei Velvet Underground (registrati
poi su June 1), Eno si deve fermare per qualche mese, prima a
causa di gravi problemi polmonari, poi per un incidente automobilistico.
Nel 1975, il ritorno con Another Green World, altra super-produzione
con la chitarra di Robert Fripp, la batteria di Phil Collins e la viola
di John Cale. Attraverso audaci commistioni tra generi (musica d’avanguardia
e pop, psichedelia e colonne sonore), Eno trascende i confini del rock
creando una serie di paesaggi sonori nei quali si colgono già le
prime avvisaglie della cosiddetta “ambient music, uno dei generi
di cui si può considerare il fondatore. Sempre nello stesso anno,
il “non musicista inaugura una propria etichetta d’avanguardia,
la Obscure Records, per la quale incide Discreet Music all’interno
di un’opera di dieci volumi dedicati alla musica sperimentale (tra
gli artisti ispiratori: Michael Nyman, John Cage, Harold Budd). Eno pubblica
anche due libri Music For Non Musicians e Oblique Strategy,
in cui espone le sue teorie “non-musicali”.
A chiudere il trittico è l’eccellente Before And After
Science (1977), concepito in Germania, dove Eno si è trasferito
con Fripp e David Bowie e collabora con i Cluster.
Le dieci tracce sono altrettanti fotogrammi di cinquant’anni di
musica rock, ma a Eno non è solo un freddo scienziato alle prese
con l’analisi microscopica della tradizione, è anche un eccellente
compositore. È nell’asservimento di questo talento al rigore
formale della teoria che risiede la magia del disco. Se aggiungiamo poi
che per la sua realizzazione Eno si circondò di musicisti del calibro
di Phil Collins, Phil Manzanera, dell’immancabile Robert Fripp,
e dei due “Cluster” Moebius e Roedelius, è facile immaginare
il risultato.
Le sincopi ethno-funk dell'iniziale No One Receiving anticiparono
di qualche anno tutto quello straordinario movimento post-punk, meglio
identificato anche come “white-funk”, che imperversò
nei club più alternativi di Inghilterra e Stati Uniti, e che portò
una ventata d’aria nuova al ballabile moderno. Le contaminazioni
elettroniche che distinguevano il funk “bianco” da quello
“nero” derivavano tutte dall'opera di Eno, che in seguito
riprenderà con più convinzione il concetto, prima collaborando
a Remain In Light dei Talking Heads e poi duettando con David
Byrne nello splendido My Life In The Bush Of Ghosts. Ma qui c’è
già tutto. Tutta l’irresistibile carica delle percussioni
e della batteria di Collins, tutto il pulsare cavernoso del basso fretless,
il ronzare impertinente del synth e quel cantilenare inconfondibile da
sempre marchio di fabbrica del Brian Eno “canzonettaro”. Su
questo genere Kurt’s Rejoinder si spinge ancor più
avanti, esibendosi in un tribalismobalbettante, trascinandoci negli inquietanti
paesaggi notturni dell’Africa. Praticamente è un’anticipazione
di ciò che saranno di lì a poco i Talking Heads.
Con Backwater si cambia completamente tiro. Si entra in territori
più propriamente rock-pop. Una canzonetta irresistibile e trascinante,
testimonianza della capacità dell’artista inglese di sfornare
ritornelli appiccicosi. Altra sorpresa: Energy Fools The Magician è un intermezzo di due minuti, uno strumentale dove a far da padrona
è la straordinaria batteria di Collins, che scandisce il tempo
di un orologio prossimo all’esplosione, che trattiene la sua forza
proprio al momento di detonare. King’s Lead Hat è
la sua versione del rock “duro e puro”, straniato da stacchetti
di piano dissonante, battiti di mani nevrotici, giri di elettronica ipnotica,
chitarre incendiarie. Un’altra canzone irresistibile, un altro ritornello
da cantare come scatenati, un altro numero da artigiano-intellettuale
del rock.
Here He Comes è un brano di una trasparenza strabiliante,
di una classe enorme, che potrebbe suonare per un’ora di continuo
senza mai stancare. Julie With… è un saggio di ambient-pop,
un brano che fa parte delle miniature nebbiose e soffici, nonché
deliziosissime, di cui Eno è capace. Un altro suo marchio di fabbrica
inconfondibile sono le famose “vignette”, così eteree
da essere quasi meno intrusive del silenzio. Di questa categoria fa parte
anche il bellissimo strumentale Through Hollow Lands, dedicato
a Harold Budd. Il brano più famoso del disco è però
quella By This River voluta fortemente da Nanni Moretti nel suo
film La stanza del figlio. La solita atmosfera rarefatta, con
Eno che canta in un tono dimesso e rassegnato, mentre il piano e le tastiere
si accarezzano ricamando un tessuto preziosissimo. By This River è la pace dei sensi, uno sbadiglio d’anima, il raccoglimento,
la calma. E anche un capolavoro. A terminare l’album, la cui seconda
parte è molto più rilassata della prima, è Spider
And I, un commosso augurio dissolto in nebulose cosmiche, quasi ad
annunciare la nascita di una nuova era. Già, l’era del “dopo
la scienza.
A Berlino, Eno collabora a un’altra grande trilogia, quella del
“dandy elettronico” David Bowie: Low, Heroes (con
Fripp alla chitarra) e Lodger segnano il momento più sperimentale
dell’opera del Duca Bianco, coniando un suono molto influente sulla
successiva stagione new wave europea. Ma Eno imprime il suo segno anche
sulla musica dei Talking Heads (More Songs About Buildings And Food,
Fear Of Music e Remain In Light) e sulla neonata scena no wave newyorkese,
pubblicando No New York, una fondamentale raccolta in cui compaiono
gruppi come DNA, The Contorsions e altri. Sempre di questi anni sono le
collaborazioni con Ultravox e Devo in ambito rock, e con Harold Budd e
Jon Hassell nel campo dell’avanguardia.
La carriera solista del “non musicista” più famoso
del rock si concentra, invece, sullo sviluppo della ambient music, attraverso
due suggestivi album come Music For Films (1978) e Music
For Airports (1979). Il primo è un collage di 18 miniature
strumentali, fatto di atmosfere estatiche e oniriche, vortici spaziali,
delicate trame sonore. Una sublimazione, in chiave minimalista e romantica,
della “musique concrete”, che passa anche attraverso sonate
d'intensità romantica (Slow Water) e religiosa (Sparrowfall,
Events In Dense Fog, Final Sunset).
Music For Airports, invece, rientra in un progetto di “musica
per ambienti” studiato da Eno con Harold Budd e Jon Hassell. L’obiettivo
è creare una musica di sottofondo studiata per le ampie hall degli
aeroporti, ma anche per le sale d’attesa, per i padiglioni delle
mostre e delle gallerie d'arte. La musica come arredamento. Gli ambienti
come gigantesche scatole da riempire di suoni. La fine del concetto tradizionale
di ascolto e la nascita di un nuovo genere di colonna sonora, studiata
per accompagnare spazi, non immagini. Più che un disco, Music
For Airports è un trattato di musicologia, una sintesi definitiva
di quella stagione di ricerche sonore avviata da Erik Satie nel 1888 con
il brano Gymnopedias e proseguita negli anni ’60 e ’70
da pionieri come Terry Riley, Steve Reich e John Cage, oltre che dallo
stesso Eno. Music For Airports è il coronamento di quei
progetti: è solo con la sua pubblicazione, infatti, che viene ufficialmente
coniata l’espressione “ambient-music”.
Nelle sue alchimie da scienziato autodidatta, Eno procede in realtà
per sottrazioni. Nel 1968 aveva già teorizzato la “Musica
per non musicisti”, patrimonio non più di compositori ed
esecutori, ma di “geniali incompetenti”, manipolatori di nastri,
synth, equalizzatori e altri marchingegni elettronici. Poi, con le sue
strategie oblique, aveva deciso di svuotare la musica stessa della sua
polpa, riducendola a un puzzle indistinto di suoni e toni, riciclati in
studio con complesse operazioni di ingegneria genetica. Così scarnificata,
mutilata delle sue tradizionali strutture armoniche, la musica diviene
nient’altro che parte di un ambiente – che sia la sala d'attesa
di una stazione o il padiglione di un aeroporto – ne assorbe l’atmosfera
e i rumori, tramutandosi in un sottofondo che non richiede più
un ascolto accurato (ecco l’ultima “sottrazione”). È
musica che spesso non supera le 100 battute al minuto e a volte risulta
totalmente priva di parti ritmiche. Musica che nel rapporto simbiotico
con lo spazio trova la sua principale ragion d'essere.
L’ambiente prescelto è dunque l’aeroporto, crocevia
internazionale, punto d’arrivo e di partenza, luogo di incontri
e di separazioni, di attese e di tensioni. L’obiettivo di Eno è
infondere nei suoi frequentatori un senso di calma e di speranza, stemperandone
progressivamente lo stress. L’esperimento venne realmente effettuato
per un periodo nel terminal dell’aeroporto LaGuardia di New York,
pochi mesi dopo l’uscita del disco.
Sorta di sinfonia “metaclassica” suddivisa in quattro movimenti,
minimalista fin nei (quasi inesistenti) titoli delle tracce, Music
For Airports rivoluziona il concetto di creazione musicale, ma anche
quello di fruizione della stessa. Il rapporto spazio-acustica si risolve
in un’alternanza di silenzi, frasi di piano e synth, corali e voci
femminili, il tutto debitamente scomposto e ricomposto alla consolle.
Il suono si sprigiona lentamente, è astratto, pittorico, mentale.
Eppure non si limita a fare da “tappezzeria” al luogo, ma
contribuisce a definirne la percezione, fin quasi a confondersi con esso.
Tutto è soffuso, incorporeo, rarefatto. Ribaltando il tradizionale
invito rivolto agli ascoltatori sulle copertine dei dischi, verrebbe da
dire “to be played at minimum volume”.
Nell’ouverture, un meraviglioso adagio al rallentatore di sedici
minuti, è Robert Wyatt a creare un’atmosfera di estasi elettronica,
reiterando all'infinito eteree frasi di piano, contrappuntate dagli altri
strumenti in fuga libera e rielaborate da una sapiente regia al mixer.
Il secondo brano è costruito su echi e sovrapposizioni di un coro
femminile a cappella che infonde un senso di vuoto e di vertigine. Il
terzo è una piece pastorale che combina il coro con un pianoforte,
fungendo idealmente da sintesi fra i due movimenti precedenti. Il quarto,
un solo di synth dai toni più cupi, pare quasi studiato per lasciare
un senso di intrigante incompiutezza. Music For Airports, infatti,
potrebbe proseguire all’infinito, e continuerebbe sempre a riservare
qualche impercettibile sorpresa. Dietro le sue lente fluttuazioni, la
sua calma ossessiva, i suoi pattern ipnotici, si cela una suspense maligna,
l’attesa per un colpo di scena che pare non arrivare mai, ma che
a ogni nuovo ascolto potrebbe sopraggiungere. Ma forse è proprio
questo, il suo colpo di scena.
Il progetto continua, tra vortici sonori ed echi cosmici, con Films, On Land, che accentua la componente thriller dei suoi acquerelli
ambientali, dando spazio a sonorità più tetre e minacciose.
Il lato più cosmico della sua musica sarà invece protagonista
di Apollo: Atmospheres & Soundtracks del 1983. Ma Eno vuole
cimentarsi anche con l’arte visiva. E così nascono i video-affreschi
di Fifth Avenue e Mistaken Memories, che celebrano in
chiave artistica la nascita del nuovo mezzo multimediale della videocassetta.
Negli anni ’80, il non musicista di Woodbridge diventa una sorta
di guru universale del rock, creando una scuderia di talenti e producendo
un’infinità di dischi. Il tutto in perfetta autonomia, senza
mai dipendere dalle strategie commerciali delle case discografiche, ma
solo dal proprio studio di registrazione privato. Dal 1980 inizia a collaborare
con il fratello Roger e, soprattutto, con il tecnico del suono canadese
Daniel Lanois. In questo periodo, Eno è attento anche a diverse
altre realtà collaborando con artisti del Ghana (Edikanfo), sovietici
(Zvuki Mu), italiani (Teresa De Sio) e interessandosi alla musica etnica.
Il grande ritorno al rock è sancito dalla produzione di The
Unforgettable Fire (1984) e The Joshua Tree (1987) degli
U2. Grazie allo straordinario successo di questi due album, Eno diventa
uno dei produttori più richiesti al mondo, anche se preferisce
lasciare questi compiti a Lanois e dedicarsi ad altri progetti tra i quali
la fondazione di un’agenzia artistica (Opal) cui fanno riferimento
musicisti (il fratello Roger, Lanois, Michael Brook, John Paul Jones)
e artisti visuali (registi, fotografi, pittori). Nei primi anni ’90,
Eno cura ambiziosi progetti discografici quali Nerve Net (1992), The Shutov
Assembly (1992) e le colonne sonore dei film Blue (1993) e Glitterbug (1994), entrambi di Dereck Jarman. Organizza anche installazioni visive,
opere multimediali (con Laurie Anderson) e perfino una serie di campionamenti
audio per il software dei personal computer.
Ma le sue collaborazioni nel rock lasciano il segno sul decennio: tra
gli altri, lavora con Arto Lindsay, Peter Gabriel (Us, del 1992), per
le colonne sonore di Until The End Of The World di Wim Wenders
e del serial TV X-Files, negli album Achtung Baby (1991)
e Zooropa (1993) degli U2, nel progetto Passengers (Original
Soundtracks I del 1995) e in Outside (1995), l'album del
rilancio di David Bowie. “Quel disco”, racconta, “è
cominciato da una sequenza di improvvisazioni che ho recentemente riascoltato
e che mi ha impressionato: David improvvisa testi costruiti su armonie
complesse, cambia i personaggi modificando la sua voce. È all’avanguardia
su tutto il mondo, in materia di immaginazione e di espressività.
Il seguito spero si faccia presto”.
Di recente, Eno ha pubblicato l’album, Drawn For Life,
scritto, suonato e prodotto con J. Peter Schwalm, dj e musicista di Francoforte,
e arricchito dalla voce di Laurie Anderson: undici brani in bilico tra
jazz, musica da camera e trip hop. “Provo sempre a fare la musica
che mi piacerebbe sentire”, racconta Eno. “Il processo nasce
da una serie di ascolti durante i quali penso: ‘Mi piacerebbe che
fosse un po’ come questo, un po’ come quello’. Così
trascorro tutto il tempo disegnando nella mia testa il tipo di musica
che vorrei comporre. In questo periodo non ho ascoltato molto jazz o musica
colta europea ma riconosco che mi hanno suggerito un territorio fertile.
L’altra strada era ripiegare verso quei sentimenti che avevo scoperto
sulla musica come tipo di paesaggio sonoro. Ho provato a portare tutto
questo verso un tipo di composizione che fosse ritmica e melodica perché
per molto tempo ho composto brani senza ritmi ovvii o esili tracce melodiche”.
Ma Eno ha prodotto anche Space, l'ultimo disco dei James che
lui definisce “il migliore da quando il gruppo è insieme”.
Ha aderito al progetto di David Toop, Sonic Boom: the art of sound,
una esibizione all’Howard Gallery di Londra, descritta come “la
più vasta esibizione di un gruppo d’arte e suoni mai tenuta
in Gran Bretagna”, con interventi di Russell Mills e di Lee Ranaldo
dei Sonic Youth per sonorità post-rave, post-ambient e post-techno.
E tra le “strategie oblique” dell'artista inglese c’è
anche Aiming for Zero Landmines-The First Prayer of the 21st Century,
colonna sonora di un programma tv giapponese curato da Ryuichi Sakamoto
che si propone di abolire le mine. Eno figura, con Kraftwerk e David Sylvian,
tra gli autori delle musiche.
Se la musica resta la sua attività principale, l’arte è
sempre al centro dei suoi pensieri. Ha realizzato presso il Moma di San
Francisco Compact Forest Proposal, parte integrante di una mostra
che celebra la tecnologia digitale e l’arte, intitolata 101010.
Il progetto di Eno è creare un ambiente musicale senza parole,
senza melodia, senza ritmo e che non suoni mai due volte nello stesso
modo, attraverso 11 lettori cd che trasmettono musica, rumori, voci lontane,
suoni di campane. Infine, il suo grande sogno: ottenere dalle autorità
dell'aeroporto di Heathrow (Londra) il permesso di creare una stanza per
viaggiatori in cui sia possibile ascoltare “musica attuale per un
aeroporto moderno”. Sarebbe la logica chiusura del discorso aperto
oltre vent’anni fa con Music For Airports.
Nel 2005, a sorpresa, esce Another Day On Earth. Annunciato come
un nuovo disco di canzoni, è tutto fuorché un ritorno di
Eno ai suoi quattro album pop. Tanto quelli erano rocamboleschi e imprevedibili,
tanto questo è levigato e asettico fino alla monotonia. Un disco
di musica ambient in puro Eno-style, solo cantato anziché essere
solo strumentale.
Chiarito questo ci si può abbandonare al piacere di un ascolto
d’alta classe, privo di scossoni, ma forse non del tutto: perché
ascoltando la traccia con cui l'album si apre, This, qualsiasi
fan del Brian Eno pop proverà di certo un autentico tuffo al cuore:
eccola, una sua tipica filastrocca che ti si appiccica in testa e non
va più via. Parole, suoni e melodie tradiscono infatti un Eno malinconico,
quasi dimesso, come preoccupato dalla scelta di doversi nuovamente esprimere
anche con le parole, oltre che con i suoni. Soprattutto, tornando a cantare
dopo tanto tempo, Eno non ritrova più la freschezza vocale che
accompagnava i dischi degli anni ’70. Si aiuta così con il
vocoder nella delicatissima, struggente And Then So Clear, probabilmente
il brano più bello della raccolta.
Il resto del disco purtroppo non è all'altezza di queste due gemme
poste in apertura: perché si riallaccia fin troppo alle ultime,
non esaltanti, prove ambient del maestro. Caught Between trova
quantomeno un’atmosfera nuovamente di estrema suggestione e presa
emotiva, ma è un episodio piuttosto isolato nel torpore generale.
Le sorti dell’album migliorano nel finale grazie alle tenebrose Bonebomb e Just Another Day e soprattutto alla splendida Under. Alla fine, è un disco che si lascia ascoltare,
ma nel complesso non decolla e non coinvolge mai davvero.
Claudio Fabbretto, tratto da Ondarock
Discografia
(1972) Roxy Music (da Roxy Music)
(1973) For Your Pleasure (da Roxy Music)
(1973) No Pussyfooting (con Robert Fripp)
(1973) Portsmouth Sinfonia Plays the Popular Classics (con la Portsmouth
Sinfonia)
(1973) Here Come The Warm Jets
(1974) Taking Tiger Mountain (By Strategy)
(1975) Evening Star (con Robert Fripp)
(1975) Another Green World
(1975) Discreet Music
(1977) Cluster & Eno (con Cluster)
(1978) Before and After Science
(1978) Ambient #1 / Music for Airports
(1978) Music for Films
(1978) After the Heat (con Roedelius e Dieter Moebius aka Cluster)
(1980) Ambient #2 / The Plateaux of Mirror (con Harold Budd)
(1980) Fourth World, Vol. 1: Possible Musics (con Jon Hassell)
(1980) Ambient #3 / Day of Radiance (da Laraaji con Eno producing)
(1981) My Life in the Bush of Ghosts (con David Byrne)
(1982) Ambient #4 / On Land
(1983) Apollo: Atmospheres and Soundtracks
(1984) The Pearl (con Harold Budd)
(1985) Thursday Afternoon (canzoni per una galleria di arte video)
(1985) Hybrid (con Daniel Lanois e Michael Brook)
(1989) Textures
(1990) The Shutov Assembly (All Saints Records)
(1990) Wrong Way Up (con John Cale) (All Saints Records)
(1992) Nerve Net (All Saints Records)
(1993) Neroli (All Saints Records)
(1995) Spinner (con Jah Wobble) (All Saints Records)
(1995) Original Soundtracks No. 1 (con U2)
(1997) The Drop (All Saints Records)
(2001) Drawn From Life (con Peter Schwalm)
(2002) Lightness
(2002) I Dormienti
(2002) Kite Stories
(2003) Music for Civic Recovery Centre
(2003) Compact Forest Proposal
(2003) January 07003 | Bell Studies for The Clock of The Long Now
(2004) Curiosities Volume 1
(2004) Curiosities Volume 2
(2004) The Equatorial Stars (con Robert Fripp)
(2005) Another Day on Earth
(2005) More Music from Films
(2005) 77 Million
*
Bene, ho sempre pensato che l’arte è una
bugia, una bugia interessante. E continuerò ad ascoltare questa
“bugia” e a cercare di immaginare un mondo che la rende vera…
come sarà quel mondo, e cosa deve accadere perché passiamo
da questo a quello.
Devo dire che gli ammiratori possono rivelarsi una forza
conservatrice e immobilizzante. Certo è meraviglioso essere acclamato
per le cose che fai – a dire il vero è la vera ricompensa,
perché ti fa pensare “ci sono riuscito! non sono isolato!”
o qualcosa del genere, e ti lega in modo positivo alla cultura di cui
fai parte. Ma d’altro canto, ti senti spinto a ripeterti, per fare
ancora quelle cose che ci piacevano tanto. Io non ce la faccio –
non mi diverto a portare avanti progetti che mi sembrano familiari ( -
e questa non è tanto una questione di nobiltà artistica
o di ideali: semplicemente mi annoio troppo), ma allo stesso tempo mi
sento in colpa per aver “tradito il mio pubblico” e non aver
fatto le cose che secondo me avrebbero voluto. Forse è meglio evitare
questo senso di colpa, così evito di trovarmi in situazioni che
potrebbero causarlo. Il problema è che la gente preferisce quasi
sempre quello che facevo qualche anno prima – è sempre così.
L’altro problema è che, spesso, la penso così anch'io!
Le novità vengono fuori in modo sporadico e sfumato, e i risultati
non sono immediatamente confrontabili con i lavori passati, brillanti
e acclamati. Devi continuare tenere presente che anche loro hanno avuto
un travaglio iniziale, anche se poi hanno avuto un successo da mozzare
il fiato. E c’è un altro problmea quando pensi al tuo passato
- ti dimentichi che ha avuto una genesi e incominci a sentire una specie
di inutile reverenza per il tuo io precedente: “Ma come ci sono
riuscito? Da dove uscivano queste idee?”. Il presente, quello quotidiano
e concreto, sembra relativamente meno glamour di quel roseo passato (a
parte le ore magiche quando ti senti in ritmo con il universo, cose che
capitano solo quando ti sleghi dalla tua storia personale).
A 18 anni ero già in crisi di mezza età
… ho speso tanto tempo a pensare al vero significato dell'essere
un artista. Non sono abbastanza intellettualmente disonesto per semplificarmi
la vita… Il rischio può giocare un ruolo nel nostro concetto
del bello. Se corri un rischio, tiri fuori le antenne. Un giorno noleggerei
un violoncello e un altro una marimba. Non sono capace di suonare nessuno
dei due. Ho due idee, far pendere un microfono dal soffitto ed assumere
un trombone.
Un aspetto importante della progettazione è il
grado al quale l’oggetto ti coinvolge nel suo completamento.
Sulla creazione del suono di avvio di Microsoft Windows
95:
L’idea venne fuori in un periodo in cui ero del
tutto privo di idee. Avevo lavorato per un certo periodo sulla mia musica
ed ero veramente a un punto morto. Fui felice che qualcuno venisse da
me a dirmi, “Abbiamo questo problema – risolvilo.” La
nota dell’agenzia diceva, “Vogliamo un pezzo ispirato, universale
e bla bla e da da da, ottimistico, futuristico, sentimentale, emotivo,”
con tutta questa lista di aggettivi e poi alla fine, in fondo leggo “e
deve essere lungo 3¼ secondi.” Pensai che era così
divertente e curioso che mi venne davvero voglia di mettere insieme questo
minuscolo brano. È come fare un piccolo gioiello. In verità
ne feci 84. Fui totalmente assorbito da questo mondo di piccoli pezzi
musicali. Ero tanto sensibile ai microsecondi alla fine si aprì
una diga nel mio lavoro. Quando ebbi finito e tornai a lavorare sui pezzi
da circa tre minuti, mi sembrarono oceani di tempo.
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