Heather McGowan
Duchessa del nulla
“Se Molly Bloom potesse parlare, se Molloy potesse scriverci da Roma, avremmo qualcosa di ammaliante come la Duchessa del nulla dove Heather McGowan, ancora una volta, rivendica arguzia, filosofia e bellezza come diritti di nascita della grande narrativa.”
Andrew Sean Greer
Il matrimonio è una tomba.
Senza nome, i protagonisti di questo romanzo – la Duchessa del nulla e il fratello di Edmund, un bambino di sette anni – ben presto e inspiegabilmente abbandonati da Edmund, compagno di lei e fratello di lui, s’aggirano per una Roma-chimera filtrata per capriccio da un paio di occhiali color ambra, sfondo maestoso ma itterico e maleodorante della narrazione – un monologo in prima persona – senza far nulla. E non si commette un grande errore se si afferma che Duchessa del nulla è in fondo un libro sul niente con un tema portante arcano e invisibile, un libro che vive del suo stile e della sua sospensione, l’unico modo – davvero – per parlare della bellezza, se esiste, l’unico modo per descrivere un viaggio tortuoso all’interno della mente.
Come in un puerile ammonimento dicotomico (giusto-sbagliato, amore-odio), la duchessa s’infervora nel voler garantire un’educazione al bambino; la sua è una pedagogia non convenzionale dominata da precetti rigorosissimi (“il matrimonio è una tomba”, “l’amore è fatale”, la scuola è “una prigione di lavagne”), invettive contro la poesia (“poverini, i poeti, costretti a tormentare il cervellino per cavarne immagini nuove”), sofisticate lezioni-laboratorio sull’arte del sottinteso e propositi di utopica progettualità. Il fratello di Edmund, più simile a un gatto che a un bambino, vive con fanatica innocenza la sua educazione ai sentimenti, e ben sopporta le reazioni ai suoi modesti tentativi di ribellione: “Un giorno sarai un ottimo marito per la pigra sguattera che deciderai di sposare, ma quel giorno non è oggi, quella sguattera non sono io, e tu non sei mio marito”.
Narratrice ventriloqua e disonesta, ammaliante e contraddittoria, una tra Hedda Gabler e Molly Bloom ma con una disperazione e una follia mediate direttamente da Sylvia Plath, la duchessa dispiega la sua persecutoria visione con un andirivieni nella memoria in cui il presente e la contingenza contano pochissimo. E la dicotomia ritorna nella sua maternità subita – lei madre di un figlio non suo, compagna di un uomo sempre meno suo – e fa emergere una farinosa disintegrazione dell’anima, il peso dell’ignavia e l’inutilità del presente.
È raro che un romanzo sappia offrire una così vivida celebrazione dell’autodistruzione (“quando sto male mi piace star peggio”), che sappia far sentire quanto sono stretti i lacci con il passato, che riesca a dare un volto all’infelicità; perché l’infelicità va indossata, e non è altro che un mantello color inchiostro.
Uso la Natura per quella sgualdrina che è.
Biografia del libro
“Ricordo che quando leggevo i diari di Sylvia Plath fui colpita da una sua confessione. Anziché studiare Locke si era lasciata rapire dalla lettura di Joy of Cooking, un famoso libro di cucina. D’un tratto, allora, si è delineato nella mia mente un personaggio un po’ ferino, una donna desiderosa e al tempo stesso riluttante a essere ‘addomesticata’”. E l’innominata protagonista della Duchessa del nulla (come Hedda Gabler di Ibsen e in fondo Emma di Jane Austen) è proprio così: sospesa, attanagliata dalla necessità di raggiungere una forma di libertà attraverso un’elaborata opera di manipolazione degli altri.
“Ho scritto Duchessa del nulla a Brooklyn, New York, ma la scintilla è scoccata a Yaddo, una colonia per artisti nello Stato di New York. Ho iniziato a scrivere il libro proprio nella stanza che fu di Sylvia Plath quando scrisse la poesia La bestia, a cui il titolo del mio romanzo è debitore”.
“Ho lavorato essenzialmente al computer ma ho preso molti appunti su carta. Una volta trovata la voce della protagonista sono andata spedita. Il problema è che ci sono voluti cinque anni per trovarla”.
“Ho scelto Roma per le chiese. E perché è una città che la duchessa troverebbe patriarcale, quasi oppressiva, in un senso religioso, storico ed estetico. E lei a tutto questo si ribella rifiutando qualsiasi forma di descrizione”.
Selezione stampa
- “Potrebbe diventare un piccolo libro di culto del postfemminismo questo Duchessa del nulla della statunitense Heather McGowan.”
Silvia Albertazzi, il manifesto, 27 agosto 2009
- “[…] la McGowan, considerata tra le voci più originali della nuova narrativa americana, ha descritto un cammino contraddittorio di libertà.”
GCI, Giornale di Sicilia, 2 settembre 2009
- “Dopo il successo di Schooling, è il talento della nuova letteratura americana. […] la nuova coinvolgente opera […] è di quelle che si leggono in una notte e si conservano nella memoria. Le muse Virginia Woolf e Silvia Plath sono nell’aria.”
Mauro Maraschi, Kult, settembre 2009
- “Difficile ma ammaliante.”
Valeria Parrella, Grazia, 27 luglio 2009
- “[…] La duchessa del nulla è il racconto di un’eccezionale educazione sentimentale […].”
Stefano Gallerani, Alias, 11 luglio 2009
- “[…]il testo arriva fino all’esterno, confondendosi e annunciando il contenuto del libro.”
Stefano Salis, La Domenicadel Sole24Ore, 5 luglio 2009
- “[…]Heather McGowan investe la sua protagonista di umorismo, di vita, di spirito combattivo. Ogni parola è collocata con gusto squisito, ogni pensiero è cesellato con cura.”
Lesley McDowell, Internazionale, 12-18 giugno 2009
- “È uno di quei libri che all’inizio, come Quel che resta del giorno di Ishiguro, ti prendono in modo molto sottile, non capisci bene che cosa ti stia accadendo finché non li hai finiti. È un’esperienza di lettura che si ricorda per tutta la vita.”
Rick Moody, Corriere della Sera, 12 giugno 2009
- “[…] una scrittura in prima persona ossessiva e affascinante.”
Lara Crinò, D della Repubblica, 6 giugno 2009
- “Autoritratto di una donna sola.”
Dario Pappalardo, la Repubblica, 30 maggio 2009
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