Santo Stefano di Camastra

La prima cosa che vedi quando arrivi a Santo Stefano di Camastra è il Muro di Federico, le immagini della conquista normanna della Sicilia realizzata in mattonelle maiolicate dal pittore e artigiano Totò Bonanno nel 1998. Poi la strada che conduce al centro si riempie di botteghe, a destra e a sinistra, che espongono oggetti tipici della tradizione locale, piatti di tutte le dimensioni, tavolini, vasi, brocche, giare, teiere, tazze, recipienti, boccali, soprammobili, statuine, mattonelle. Colori ovunque, nella città della ceramica, giallo, blu cobalto, rosso, manganese, verde rame; ovunque smalti brillanti, decorazioni eleganti, motivi floreali e geometrici. La strada lastricata si allunga fino al centro storico, sorto nel 1683 e poggiato su un rombo iscritto in un quadrilatero come la pianta della Reggia di Versailles, e si apre a passaggi laterali pavimentati in cotto e lava con archi antichi in pietra. Per orientarsi nelle stradine del centro ci sono le insegne di ceramica colorata e, nei punti nodali del percorso processionale della Settimana Santa, i pannelli sui muri di chiese e palazzi illustrano i quattordici soggetti della Via Crucis con un testo poetico vernacolare di Li Canti di la Cruci. Il museo della ceramica, un tempo palazzo baronale del duca di Camastra, raccoglie i pezzi pregiati dell’antica tradizione ceramica locale e la villa comunale affacciata sul mare è decorata da panchine, balaustre, fontane, tutte rivestite da ceramiche fiorate. Poi la strada si biforca. Sale verso il cimitero vecchio nascosto tra filari di cipressi e ricco di tombe ricoperte dai caleidoscopici decori delle piastrelle maiolicate. E scende, con una serie di curve, verso il mare.



Il posto migliore dove fermarsi è immerso nel verde, è la casa di Renate. Chiuso il cancello, posati i bagagli. Il percorso serpeggia attraverso arbusti e fiori selvatici, palme, viti e fichi d’india, il cielo sparisce, nascosto da migliaia di foglie e rametti spinosi, le cicale coprono tutti i suoni ma non quello del mare. Il mormorio del mare. Nell’intrico di piante si intravedono i gradini di pietra bianca che conducono verso il mare, blu, calmo, cristallino, basso. La spiaggia di ciottoli bianchi, tondi, è deserta, sferzata dal sole. E nascosti tra i ciottoli frammenti di ceramiche, schegge di colori, i doni del mare. Gli alberi, le loro forme, le loro dimensioni definiscono lo spazio della casa di pietra. Sulla terrazza del secondo piano una tenda distende la sua ombra su un tavolino e su sedie bianche, da qui si vede il mare, qui ti senti un soprammobile. Perfetto per leggere, per scrivere. Una dependance appartata, nascosta dai lunghi fili di corda, è un altro rifugio, provvisto di bagno protetto da una tenda di stoffa e una cucina spartana, bianca. Wind chime appesi agli alberi, teli colorati, piante ovunque, fiori ovunque, rampicanti, bouganville, gerani, margherite, cactus, verdure dell’orto, grappoli d’uva, bucato steso al sole, famiglie di gatti, galli e galline. Vasi di terracotta, quadretti e piatti alle pareti, mattonelle maiolicate, recipienti, ogni oggetto è creato dalle sue mani, nasce nel suo piccolo laboratorio, accanto alla casa. Nessuna porta chiusa a chiave, nessun pericolo, solo la sensazione di appartenere alla natura. Una casa senza tempo, il tempo sospeso tra il giorno e la notte. La vita qui ha una cadenza circolare.

Piena anche per gli olivi, quell’annata. Piante massaje, cariche l’anno avanti, avevano raffermato tutte, a dispetto della nebbia che le aveva oppresse sul fiorire. Lo Zifara, che ne aveva un bel giro nel suo podere delle Quote a Primosole, prevedendo che le cinque giare vecchie di coccio smaltato che aveva in cantina non sarebbero bastate a contener tutto l’olio della nuova raccolta, ne aveva ordinata a tempo una sesta più capace a Santo Stefano di Camastra, dove si fabbricavano: alta a petto d’uomo, bella panciuta e maestosa, che fosse delle altre cinque la badessa.
Luigi Pirandello, La Giara

*

Come un’onda la lotta monta per la costa, sale per i colli, investe i vivai d’aranci e di limoni sul fiume Mazzarrà, le portatrici d’acqua, le addette ai semenzai, urta le raccoglitrici di nocciole di San Piero Montalbano Ucrìa Castanea, le incartatrici di limoni di Capo d’Orlando, le salatrici di sarde di Sant’Agata, le portatrici d’argilla di Santo Stefano, infiamma in questo novembre d’umido e di nebbie le raccoglitrici d’olive delle falde dei Nèbrodi, delle Madonne… Le donne!
Vincenzo Consolo, Nottetempo, casa per casa






chiudi